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Toccare le vette della poesia

La figura dell'esploratore e del monaco si fondono nei poeti della montagna

​Roberto Mussapi


Parlando della montagna in letteratura, ho sempre sottolineato, anche su queste pagine, come, a differenza del mare, non possa ispirare la nascita di un genere letterario: l’avventura per mare è collettiva, sin dall’inizio, mentre quella sulla montagna è individuale. Nasce la letteratura di mare, epica, con l’Odissea, fino a Moby Dick e gli altri capolavori, poiché il fondamento è un’epopea, mentre la montagna ispira visioni e bagliori, una ricchissima antologia di capolavori (sto parlando di letteratura, ma pensiamo alla pittura, a Turner, ai maestri giapponesi...) della stessa stoffa della visione del mistico, e del poeta lirico. L’avventura in montagna, esperita fisicamente o nella pura immaginazione, non conduce da una terra a un’altra, ma dalla terra al cielo. Pare replicare, sul piano umano, al miracolo originario dell’albero, che affonda le le sue radici nella terra, da cui trae nutrimento, per salire verso le regioni del cielo, allontanandosi dall’humus da cui pure nasce. Lega la terra al cielo. Per quanto alta e lontana, quella cima non si è staccata dal suolo, ma lo porta nel cielo: da qui l’Albero Cosmico, presente in tutte le religioni in forme e manifestazioni e nomi differenti, ma identico nella sostanza.
L’uomo che si avventura verso la montagna, l’alpinista, sente l’impulso a lasciare la terra per salire più in alto, a contatto con le regioni del cielo. Ma per giungere alla vetta e poi tornare: vuole toccare l’infinito per portarne l’impronta sulla terra, per sentirne la complessità divina. L’alpinista, ho detto, non chiunque salga su una montagna: per molti mistici quell’ascesa non comprende ritorno: l’uomo lascia la terra per stabilirsi, stanzialmente, sotto la volta celeste. Queste due dimensioni, l’alpinista e il monaco, sono presenti, a volte fuse, a volte separate, nelle poesie ispirate alla montagna, che comunque appare sempre come un luogo di certezza. È la parte alta della terra, la sua terrazza al cielo. Anche gli dei greci risiedono nell’Olimpo. Le tavole dell’Antico Testamento sono incise su una montagna.
Forse in tempi moderni, specificamente nel Novecento, la realtà della montagna è interpretata e vissuta nella sua interezza da uno dei grandi poeti del secolo, Tagore. Ricorre nella sua opera, in versi memorabili: luogo di ascesa secondo la tradizione orientale e indiana, a anche picco del mondo, punto di osservazione culmine della visione secondo la cultura occidentale che Tagore ben conosce e assimila e fonde con la sua originaria. Qui del grande poeta bengalese leggiamo una poesia preghiera, evocazione di un incantesimo: che dai monti si alzi un velo di nebbia, e che il nuovo sole, all’alba, porti un nuovo risveglio. E un fiume di messaggi scenda dal cielo in mille fasci di luce: la montagna non è solo incantata, è il luogo attraverso cui il divino può passare dal cielo alla terra.