Te piace 'o presepe
Da Trilussa a Rodari, da Eduardo alla nuova Commedia all’italiana: il presepe è ancora una presenza viva
Alessandro Zaccuri
Cominciamo con Trilussa, al secolo Carlo Alberto Camillo Salustri (1871-1950), principe del verso in romanesco: «Hai preso er vellutello eh, Natalina? / - Lo porta doppo Nino co la tera. / - ’Mbè ’ntanto pija un po’ quela vaccina / Mettela proprio i’ mmezzo, e fa in magnera / De nun copri’ quell’antra ragazzina…». Non è casa Cupiello, ma il clima è quello che conosciamo. Ovunque si manifesti (in letteratura, a teatro, al cinema, in televisione) il presepio assume la dimensione di un rito domestico, officiato di volta in volta con complicità o sopportazione, tra minimi aggiustamenti di bricolage e ambizioni artistiche spesso comicamente malriposte. Gli elementi sono sempre gli stessi: statuine, casette, capanna, fondali, lucine, muschio a simulare la vegetazione e carta stagnola che fa finta di essere acqua di lago o di ruscello. Nel sonetto che abbiamo appena citato - Er presepio (dal vero), pubblicato nel 1888 da Trilussa sulla rivista romana “Rugantino” - i materiali sono ancora più poveri, un po’ di terra e uno scampolo di stoffa, ma la meraviglia rimane immutata («Varda sì ’sta funtana pare vera!», esclama una delle voci).
Eppure, nonostante le apparenze, «non è facile fare un presepio», ammoniva Dino Buzzati (1906-1972) in un articolo apparso nel 1934 sul “Corriere della Sera”. Miscela sopraffina di ironia e di inquietudine, Tecnica del presepio è una lettura pressoché o"Tbbligatoria per chi voglia approfondire l’argomento. “Serietà” e “mistero” sono i due criteri suggeriti dallo scrittore, che dichiara senza tentennamenti la sua predilezione per «i presepi di fortuna, improvvisati da gente modesta», perché «spesso da mezzi scarsi e miseri nasce un piccolo capolavoro». A patto che i padri di famiglia, all’epoca ancora incaricati di allestire la scena, sappiano conservare «la semplicità di un tempo». Fa impressione, in questo tormentato Natale del 2023, rileggere Buzzati che mette in guardia da ogni idealizzazione romanticheggiante. La «vera Betlemme», rivela, è «un paese così brutto e squallido» da non avere quasi nulla in comune con i «fantastici dirupi» di tante ricostruzioni fantasiose.
Occorrerà del tempo perché questo tocco di realismo faccia irruzione anche nei presepi della letteratura. Un esempio recente è offerto da Una notte, il romanzo del 2022 nel quale Giosuè Calaciura fornisce una sua versione, liberissima e partecipe, della nascita di Gesù. Nel libro il presepio neppure è nominato, d’accordo, ma tutto il libro è in effetti un presepe vivente, nel quale si affollano personaggi noti e altri del tutto inediti, come il ladruncolo che, sottraendo un fascio di documenti alla burocrazia romana, avvia la provvidenziale macchina del censimento.
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