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Stabat Mater note di Passione

La sequenza attribuita a Jacopone ha generato capolavori, ma nessuno raggiunge le vette di Giovan Battista Pergolesi

​Andrea Milanesi

La Settimana Santa è un tempo della memoria per eccellenza, così come il Calvario è uno dei luoghi – se non “il” luogo – della memoria per elezione. Ce lo ricordano ogni anno le liturgie che accompagnano il Sacro Triduo, ma anche il ricco patrimonio espresso dall’arte figurativa – con il suo lascito di pitture e sculture –, così come la storia della musica; sono nati proprio per il tempo pasquale i primi drammi liturgici, arcaiche forme di rappresentazione teatrale che già nel X secolo portavano in scena alcuni episodi del Nuovo Testamento. Sacre rappresentazioni come la Visitatio sepulchri (Visita al sepolcro), uno dei più antichi e conosciuti uffici drammatici, che si apre con la domanda che l’angelo rivolge alle tre Marie in visita al sepolcro: «Quem quaeritis?», chi cercate? Che è poi il grande quesito esistenziale che proprio durante il tempo di Quaresima diventa ancor più urgente e pressante nell’animo dell’uomo di fronte al proprio destino ultimo. Una domanda aperta, che nei giorni della Settimana Santa trova risposta in un appuntamento ben preciso, in occasione dei riti del Venerdì Santo: quello che ci riporta idealmente in pellegrinaggio sul Golgota, dove incontriamo la Madonna ai piedi della croce «dum pendebat Filius». È lì che ci guidano le parole evocate dalla sublime poesia dello Stabat Mater, l’antica sequenza medievale attribuita a Jacopone da Todi, i cui versi, che descrivono il tormento di Maria Vergine di fronte a Gesù morente, sembrano quasi scolpiti nella pietra, sbalzati in rilievo da un duro e freddo blocco di marmo.
Una inesauribile fonte di ispirazione per intere generazioni di compositori, che in questo testo hanno trovato lo stimolo per intraprendere una ideale sfida senza tempo; dalle intonazioni gregoriane medievali alle pagine firmate dai più illustri maestri del Rinascimento – come Desprez, Lasso o Palestrina (che ne musicò tre versioni) – che hanno innalzato le loro architetture polifoniche per sublimare il canto dedicato alla “Madre dolorosa”, così come hanno poi fatto, in età barocca e con esiti altissimi, autori dello straordinario calibro di Steffani, Vivaldi e gli Scarlatti (il padre Alessandro e il figlio Domenico).
Dopo di loro Haydn, Boccherini e poi Rossini, Dvorák e persino Verdi – che nell’estrema fatica dei Quattro pezzi sacri ha incluso la sua personale concezione dello Stabat Mater –, Kodály e Poulenc (quasi un Requiem il suo, come ha lui stesso dichiarato, poi tramutatosi in una grandiosa «preghiera di intercessione»), e ancora le istanze contemporanee di Penderecki e Pärt, fino al recente Stabat Mater per coro a otto voci e orchestra d’archi di James MacMillan, ultimato nel 2015.
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