Sinfonie cromatiche
A Milano l’arte astratta con cui Kandinsky voleva toccare le corde dell’anima
Ogni esperienza della vita e dell’arte di Kandinsky si lega indissolubilmente al colore, è dentro il colore, ne è circondata e avvolta. Il colore è il liquido amniotico che permette la nascita organica della sua ricerca astratta. Non a caso Kandinsky ci rivela la sua scarsissima capacità di memorizzare cifre, nomi o versi, compensata però da una spiccata memoria visiva orientata fortemente sulla percezione cromatica: «Già nella prima giovinezza potevo registrare a casa, per quanto lo permettevano le mie cognizioni tecniche, i colori dei quadri che mi avevano particolarmente colpito a una esposizione». Per lui i colori sono esseri viventi, dotati ciascuno di una propria personalità, di un proprio suono, di una propria attitudine a esercitare effetti fisici e psichici sull’osservatore come messaggeri di emozioni. Sono amici di cui fidarsi. «Ancora oggi – ha scritto Kandinsky in Sguardo sul passato – sento l’emozione che generava in me il colore quando usciva dal tubetto. Basta pigiare con le dita, e questi strani esseri, chiamati colori, escono: maestosamente, con aria pensosa, con concentrazione, in maniera terribilmente seria, con ribollente giocosità, con un sospiro di sollievo, con una risonanza di dolore ma con forza arrogante; tenacemente, con costante autocontrollo, in indecisa incertezza di equilibrio. Sono vivi in sé, autonomi, dotati di tutte le caratteristiche necessarie per continuare la loro vita autonoma, e pronti a ogni istante a sottomettersi a nuove combinazioni, mischiandosi l’un l’altro, e a creare un numero infinito di nuovi universi»......
di Gabriele Simongini