Si può abitare il sublime
Le terre estreme esercitano attrazione e terrore. Il turismo rendendole accessibili ne mette in crisi lo statuto
Alessandro Beltrami
«Nell’aprile del 1992 un ragazzo di buona famiglia della costa orientale degli Stati Uniti raggiunse l’Alaska in autostop e si addentrò nel territorio selvaggio a nord del monte McKinley. Quattro mesi più tardi un gruppo di cacciatori d’alci rinvenne il suo corpo ormai in decomposizione». È l’incipit di Nelle terre estreme (Into the Wild, il titolo originale, è stato mantenuto in Italia per il celebre film di Sean Penn), in cui il giornalista John Krakauer racconta la storia del ventiduenne americano Christopher Johnson McCandless. Un ragazzo animato da un desiderio radicale: «Da due anni cammina per il mondo. Niente telefono, niente piscina, niente animali, niente sigarette. Il massimo della libertà. Un estremista. Un viaggiatore esteta la cui dimora è la strada. Scappato da Atlanta. Mai dovrai fare ritorno perché the west is the best. E adesso, dopo due anni a zonzo, arriva la grande avventura finale. L’apice della battaglia per uccidere l’essere falso dentro di sé e concludere vittoriosamente il pellegrinaggio spirituale. Dieci giorni e dieci notti di treni merci e autostop lo hanno portato fino al grande bianco del Nord. Per non essere mai più avvelenato dalla civiltà, egli fugge, e solo cammina per smarrirsi nelle terre estreme». Christopher scrive un diario, che verrà ritrovato accanto al suo cadavere nel bus abbandonato e utilizzato come rifugio. Quando finalmente fa pace con se stesso e con la società, decide di tornare indietro. Ma l’inverno ha gonfiato il fiume che lo separa dalla “civiltà” e non ci sono guadi. Mangia probabilmente delle bacche che lo avvelenano e si trova a morire solo. Ma fa in tempo a scrivere all’interno del bus, divenuto poi a sua volta una meta di pellegrinaggio: «Ho avuto una vita felice e ringrazio il Signore. Addio e che Dio vi benedica!».
È una storia profondamente americana, una nazione-continente forgiata nel mito della frontiera e della wilderness (nello zaino Christopher aveva libri di Jack London e di Henry David Thoreau), della scoperta e conquista di un paesaggio di proporzioni immani sul quale si proietta l’immagine utopica del paradiso – sulla quale non poco incide il messianismo della terra promessa cercata dai padri pellegrini – ma che è allo stesso tempo spazio spaventoso, percorso dal mostruoso e dal demoniaco: non è forse un caso se è statunitense il grande racconto gotico e fantastico.
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