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Scolca tesoro olivetano

Nelle prime colline riminesi l’abbazia di Santa Maria Annunziata Nuova tiene viva la testimonianza artistica, culturale e spirituale della famiglia benedettina

​Johnny Farabegoli e Natalino Valentini

Dom Sergio Livi, priore della comunità monastica olivetana di Santo Stefano in Bologna e di San Giorgio in Ferrara, morto nel 2011, osservava come «l’amore per il bello in tutte le sue forme» costituisse «la caratteristica dell’esperienza olivetana», e a questo proposito precisava: «A mio parere la più bella carta d’identità dell’esperienza olivetana nella storia sono i luoghi stessi che i monaci hanno edificato, la bellezza di questi luoghi, le opere d’arte [e] l’amore per l’arte». Non ci sono forse parole più adeguate di queste per esprimere l’identità di uno dei luoghi più significativi del­l’arte e della spiritualità cristiane che caratterizzano il territorio della città di Rimini, quale il complesso olivetano del­l’abbazia di Santa Maria Annunziata Nuo­va di Scolca (dal germanico medievale skulka: luogo di vedetta) sul colle di Covignano, testimonianza della feconda presenza di una comunità monastica che nel tempo ha saputo “trasfigurare” il locus del suo monasterium in mirabile specchio di una pulsante sapienza animata dalla ricerca del bello di cui l’arte, nelle sue molteplici forme (architettura, pittura, scultura), è stata la più limpida manifestazione.
La presenza olivetana a Scolca è documentata a partire dal 1421, quando una prima comunità di monaci, su invito di Carlo Malatesta, uno tra i più illuminati signori della nota casata riminese, viene a insediarsi sul colle di Covignano; ma solo intorno al 1483 i monaci riuscirono a terminare i lavori di costruzione della nuova chiesa che andava a sostituirsi al piccolo oratorio preesistente. Di questa prima fase rimangono pochissime tracce, mentre sarà nel Cinquecento - sotto la dinamica azione di Giovan (o Gian) Matteo Faetani, abate a Scolca dal 1544 al 1558 - che la struttura abbaziale andrà incontro a un vero e proprio “rinascimento artistico-culturale”. Varcata la soglia della chiesa, ci si accorge subito che proprio quest’ultima stagione ha segnato potentemente l’identità di quello che doveva essere un ricco e articolato complesso monastico. In particolare, l’aula liturgica, a semplice navata unica sul modello delle chiese prima cistercensi e poi francescane, riceve il visitatore a partire da una ricca ed eloquente teoria di monaci i quali, fronteggiandosi lungo le pareti dello spazio liturgico, sembrano accoglierlo con quella fraterna benevolenza che deve essere riservata nei confronti dell’ospite e del pellegrino - quali tratti identitari del Cristo stesso - così come prescrive san Benedetto nella sua Regola.
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