Quel secolo on the road
Gli scrittori del Novecento tornano pellegrini. In cerca della propria anima
Albert Camus
Nel Ventesimo secolo molti scrittori hanno presagito la fine dell’ebbrezza che probabilmente ancora animava Gustave Flaubert di fronte alle Piramidi. Del resto, basta leggere i resoconti indiani di Guido Gozzano, così noiosamente minuziosi, per rendersi conto che già lui aveva rinunciato all’illusione vitalistica del Barry Lyndon di William Makepeace Thackeray il giorno in cui parte dal suo paesello di campagna per fare fortuna nella grande città. Una volta sentenziata la fine dei miraggi non restava che il reportage, ma pochi avrebbero saputo praticarlo con il rigore stilistico necessario: così per un Giovanni Comisso, pronto a replicare i fasti della grande tradizione nel suo incandescente dettato ritmico, che gli consentiva di mostrarci l’altrove come pochi prima e dopo di lui hanno saputo fare, quanti giornalisti e inviati speciali ci siamo dovuti sorbire fino a non molti anni fa, quando la rivoluzione informatica ha implacabilmente posto fine all’aura del viaggio unico? Dobbiamo tornare indietro a George Orwell per ritrovare, nel suo Omaggio alla Catalogna (1938), la passione dell’antico condottiero, quello che mette alla prova se stesso e, assieme all’André Malraux di La speranza (1937), ci racconta la guerra civile spagnola come sarebbe capace di fare soltanto il vero scrittore, dolorosamente consapevole che la stazione finale di tutti i suoi spostamenti è l’espressione formale, cioè l’istante in cui capisci se l’esperienza compiuta ha avuto un senso oppure no......
di Eraldo Affinati