Quando il cristianesimo salì in alta quota
Spesso legati nell’origine a templi pagani, i luoghi sacri cristiani in altura hanno una storia del tutto autonoma
Franco Cardini
“Dio del cielo, Signore delle cime”: così comincia uno dei più conosciuti canti di montagna, composto nel 1958 da Bepi de Marzi. Questo vocativo uranico, che richiama l’idea di un Dio delle vette e delle tempeste, è profondamente biblico: ma, nella Bibbia appunto, gli “dèi delle alture” sono per definizione “altri”, distinti e ora subordinati ora avversari, rispetto all’Unico, al Dio di Abramo. Quest’apparente contraddizione, che cela una dicotomia sacrale, attraversa tutta la storia del cristianesimo e lo ricollega ai culti di quelle che nella teologia cristiana sono dette le “religioni naturali”, contrapposte alle rivelate. Il fatto è che anche il Dio di Abramo ama rivelarsi sulla cime delle montagne.
Un modo per metter ordine a temi in apparenza confusi o contrapposti, e svelare analogie e somiglianze se non identità laddove a prima vista c’è alterità o contraddizione oppure ostilità, consiste nel farne la storia. Il nostro, senza pretese di esaustività, sarà un lungo cammino. Cominceremo dal carattere della “Montagna Sacra” nella cristianità per esaminarla nei suoi riscontri abramitici e nei suoi precedenti pagani; indugeremo quindi sui caratteri salienti della sacralità cristiana alpina, in particolare sul fenomeno specifico del Sacro Monte e sui suoi riscontri analiticamente gerosolimitani come sul suo sviluppo cristologico e sull’antemurale cattolico al protestantesimo; e approderemo poi alla dimensione più propriamente antropologica del problema e al carattere universale della dimensione oroduliaca, vale a dire della venerazione riservata alla montagna come sede delle divinità e simbolo del Divino.
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