Porto Venere navigare nel Medioevo
Nel borgo all’estremo del Golfo dei Poeti si respira bellezza tra storia, arte e natura
Antonio Musarra
Lo chiamano il “Golfo dei Poeti”. L’insenatura spezzina, al confine con la Toscana, non ha mancato d’attirare, nel corso dei secoli, artisti e letterati, ammaliati dal fascino d’una natura possente, marchiata dallo sposalizio tra le montagne e il mare. Porto Venere – o Portovenere, secondo la forma più confidenziale – ne riflette a pieno i caratteri. Pare che Lord Byron – oltre a compiere a nuoto la traversata dell’anfiteatro spezzino partendo da Lerici, nel 1822, nel corso d’un soggiorno a casa di Shelley, che risiedeva a San Terenzo – amasse aggirarsi tra gli anfratti delle sue rocce a picco sui flutti, tra i colori accesi della palazzata, lungo le mura che ancor oggi ne cingono i fianchi, e poi su, fino al castello, oltre la chiesa di San Lorenzo, per ridiscendere verso lo sperone da cui emerge in chiaroscuro, come dalla spuma del mare, la piccola chiesa di San Pietro. Uno spettacolo d’ineguagliabile bellezza, cui sono complemento tre piccole isole: Palmaria, Tino e Tinetto, sedi di insediamenti monastici e strutture difensive.
Qui, tutto ha il sapore d’antico. Il toponimo – Portus Veneris: Porto di Venere, legato, forse, alla presenza d’un antico tempio romano (di cui, però, non è rimasta traccia) – è attestato per la prima volta nel II secolo d.C., nel celebre Itinerarium Maritimum dell’imperatore Antonino il Pio, quale scalo nella navigazione di cabotaggio tra Luni e Segesta – l’attuale Sestri Levante – lungo l’itinerario che congiungeva Roma alle Gallie. La conformazione naturale del sito rendeva l’abitato – situato, un tempo, presso l’attuale piazza Lazzaro Spallanzani, e oggi scomparso – particolarmente adatto a essere sfruttato a fini militari. Non è un caso se Genova, in procinto di affermare la propria supremazia tirrenica, vi mettesse precocemente gli occhi sopra. Secondo gli Annales di Caffaro – redatti verso la metà del XII secolo – nel 1113 i Genovesi vi edificarono un castello, segnalando il limite programmatico del territorio di propria pertinenza di fronte alle velleità di espansione della vicina Pisa. E questo nonostante il fatto che il promontorio fosse compreso nei domini dei signori di Vezzano – oggi Vezzano Ligure, lungo il Magra –, con cui fu necessario venire a patti. Prima della metà del secolo, questi vendettero (o donarono) al maggior porto ligure l’area del castello, il borgo e buona parte del circondario.
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