Pontormo e Rosso
A Firenze una mostra epocale riscrive le storie dei campioni della Maniera, riportandole al contesto culturale e religioso del tempo e liberandole dalle incrostazioni del Novecento. Una lettura d’autore del poeta e scultore senese Lippi
Nelle ampie sale di Palazzo Strozzi a Firenze alberga un flusso di energie spirituali che inondano l’anima del visitatore: Pontormo e Rosso Fiorentino. Le loro opere migrano negli alti pascoli della metafisica o nei giardini iridescenti della loro inquieta bellezza. Li accompagna il loro maestro: Andrea del Sarto, il pittore «senza errori» quasi che da quelle sue costole spiccassero il volo davanti a noi questi due differentissimi “gemelli” della pittura italiana del Cinquecento, i più strepitosi cantori della figura umana illuminata da stridenti e inusitati colori. Da questo momento storico piglia campo nella nostra cultura artistica una sottile e pervasiva ribellione ai maestri e al contempo un’obbedienza alle ataviche leggi del popolo fiorentino, cioè alla sua tradizione morale, spirituale e tecnica dove il primato delle idee, della logica e del disegno spingono il mestiere dell’arte verso esiti di clamorosa bravura e ad ammirabili incandescenti vertici. Questi due conclamati eroi sono capaci di andare oltre la superba lezione di Leonardo, Michelangelo e Raffaello. Li stringe d’assedio la loro nevrotica sensibilità e una coscienza inebriata dal vago liquore della vita che esala malinconie e strazianti lacerazioni. La loro visionaria e stravolta potenza espressiva restituisce in pieno il travaglio dei fatti storici, il sacco di Roma del 1527 – l’irrompere nella cristianità di una dolorosa ferita e frattura nel popolo di Dio che ancora sanguina per quegli avvenimenti – e poi l’insieme delle notizie reali e immaginarie che forse giungevano dal Nuovo Mondo, regione dell’anima abitata da sconvolgimenti interiori più che da esotiche e stupefacenti bellezze
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di Massimo Lippi