Pompei la città fenice
Due mostre a Napoli e Milano raccontano le meraviglie riemerse sotto le ceneri del Vesuvio e il loro mito, mai tramontato dal giorno della riscoperta
La storia di quella ricchezza sociale, antropologica, culturale sarebbe stata perduta per sempre, se alcuni eventi fortunati verificatisi all’inizio del Settecento non avessero consentito la lenta restituzione di un patrimonio senza eguali: Ercolano prima e, a pochi anni di distanza, Pompei, riappaiono davanti agli occhi grazie alle campagne di scavo inaugurate nel 1738 e, con maggiore continuità e con sistemi di sondaggio e di recupero “moderni”, nel 1747 per volontà di Carlo III di Borbone, re di Napoli. L’intera “Repubblica delle Lettere” può ora cominciare a conoscere e a studiare non solo i lacerti del classico, la decorazione e la statuaria, ma l’intero tessuto urbano, l’organizzazione civile e culturale di insediamenti la cui dimensione e complessità erano fino a quel momento del tutto sconosciute. «Riavere Pompei – scrive lo storico dell’arte Tomaso Montanari – significava conoscere l’antichità non attraverso una somma di oggetti disparati, ma poter camminare, respirare in una città antica “resuscitata”».
E riavere Pompei significa altresì inaugurare una relazione del tutto nuova con il “culto del classico”, con il grand tour che investe e avvince l’intera Europa, con la storiografia e l’industria artistica, con il gusto e con il consolidarsi dell’idea secondo la quale il “patrimonio culturale” è una complessa rete di relazioni che va conosciuta nella sua interezza. C’è insomma una Pompei che si affaccia al nostro sguardo nella sua oggettività storica e culturale, e c’è una Pompei che viene poco alla volta sognata e reinterpretata nell’immaginario occidentale, citata e riveduta dalla creatività artistica europea.
È questa la seducente scommessa di “Pompei e l’Europa. 1748-1943”, allestita a Napoli: non tanto una mostra che vuole esibire quanto la terra ha restituito, dall’avvio degli scavi al terribile, infausto e inutile bombardamento del 1943, quanto un invito a ripercorrere la vita civile di quella città antica, le sue strade, le sue case e le pratiche decorative che ne animarono le pareti e sedussero artisti e collezionisti, architetti e scrittori. Una Pompei rivista attraverso gli occhi di quanti l’hanno amata per ritrovare le parole e le immagini che, nel corso di due secoli, l’hanno raccontata.
È questa la seducente scommessa di “Pompei e l’Europa. 1748-1943”, allestita a Napoli: non tanto una mostra che vuole esibire quanto la terra ha restituito, dall’avvio degli scavi al terribile, infausto e inutile bombardamento del 1943, quanto un invito a ripercorrere la vita civile di quella città antica, le sue strade, le sue case e le pratiche decorative che ne animarono le pareti e sedussero artisti e collezionisti, architetti e scrittori. Una Pompei rivista attraverso gli occhi di quanti l’hanno amata per ritrovare le parole e le immagini che, nel corso di due secoli, l’hanno raccontata.
di Beatrice Buscaroli