Peter John Hennessy, il futuro è solo il bene comune
Intervista allo storico britannico sui temi che più interrogano l’attualità: la pandemia il presente dell’Europa, i cambiamenti sociali le strade che conducono al domani
Giovanni Gazzaneo e Silvia Guzzetti
Lord Peter John Hennessy è tra i più famosi storici inglesi e cofondatore, nel 1986, dell’Istituto di storia britannica comtemporanea. Cattolico, la sua famiglia è originaria dell’Irlanda. Tra i suoi testi più famosi: Never again: Britain 1945-1951; The hidden wiring: Unearthing the British Constitution; The Secret State: preparing for the worst 1945-2010.
Lord Hennessy, lei concorda con papa Francesco che stiamo vivendo il cambiamento di un’epoca?
Sì. Sono d’accordo. Per quanto riguarda la vita nazionale del Regno Unito la crisi coronavirus è l’evento collettivo condiviso più importante dalla Seconda Guerra Mondiale. Sappiamo così poco del virus e delle sue proprietà e, di conseguenza, il livello di ansia e di incertezza condiviso è molto alto. Non c’è nessun altro evento al quale possiamo paragonare questa tragedia. Insieme agli scienziati stiamo cercando la strada a tastoni perché non sappiamo come reagire e stiamo forse anticipando una seconda ondata. È un’atmosfera fatta di tanti aspetti diversi. Siamo stati atomizzati perché, durante il lockdown, abbiamo vissuto soprattutto a casa nostra e, nello stesso tempo, siamo stati collettivizzati perchè lo stato ci ha privato di moltissime libertà personali senza che avessimo alcuna scelta. È un po’ un paradosso. All’inizio, quando il numero dei morti continuava a salire, il livello d’ansia era altissimo in ogni famiglia. Questo ha avuto un impatto sulle nostre menti individuali e anche sulla mentalità collettiva. Si sente il vento del cambiamento, nell’aria, e, insieme, quello dell’importanza di non dimenticarsi mai del nostro dovere di prenderci cura gli uni degli altri.
Einstein e Picasso, non conoscendosi e non conoscendo le reciproche ricerche, elaborano entrambi la critica al concetto di “spazio assoluto” (e tempo assoluto). Einstein nel 1905 con la teoria della relatività. Picasso con Les Demoiselles d’Avignon nel 1906. Qualcuno dice che hanno saputo cogliere lo “spirito del tempo”. Per lei esiste lo spirito del tempo? E, se sì, cos’è? Può farci qualche esempio?
Sì. Lo spirito del tempo esiste. Ne sono convinto e penso che sia un momento storico nel quale un intero popolo o collettività sente un ideale o un progetto comune e si adopera per farlo diventare realtà. Si sente nell’aria questa nuova epoca. Si percepisce un cambiamento. Nuove idee stanno emergendo e vengono promosse in diversi paesi, nello stesso momento. Tuttavia, come storico, sono consapevole dei rischi di usare un concetto di questo tipo. Il nostro lavoro è un’opera certosina di studio dei dettagli di un periodo: le date; che cosa è capitato; i personaggi; i fatti concreti. Applicare un’idea così generale, per quanto attraente essa sia, comporta dei rischi. Come si dice in inglese c’è la possibilità che, usando questo concetto, si spazzi via, sotto il tappeto, quello che è veramente successo, anziché analizzarlo adeguatamente. Un esempio di “spirito del tempo” è senza dubbio il periodo successivo al fascismo e al nazismo. Già negli anni precedenti la Seconda guerra mondiale, quando diventavano evidenti i crimini e gli orrori del fascismo e del nazismo, si cominciò a pensare che quelle atrocità non dovevano essere ripetute. Questa coscienza di “Never again”, “Mai più”, che è anche il titolo di un mio libro dedicato alla Gran Bretagna del dopoguerra, divenne sempre più forte e portò alla Dichiarazione universale dei diritti umani, nel 1948 da parte delle Nazioni Unite e, poi, alla Convenzione europea dei diritti umani del 1950. Benché il concetto di diritti umani sia molto antico e risalga alla Rivoluzione francese, la sua rielaborazione moderna emerse soltanto nel secondo dopoguerra.
Gli orrori di quel conflitto, la morte di oltre cinquanta milioni di persone e lo sterminio del popolo ebraico resero necessaria la creazione di uno strumento in grado di salvaguardare i diritti fondamentali e la dignità di ciascun individuo senza distinzione «di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione».
Come affermato dalla Commissione dei Diritti Umani, incaricata di redigere la Dichiarazione, il valore dei diritti umani si estende ben oltre le tradizioni occidentali e la tutela di tali diritti deve essere garantita a prescindere dal contesto in cui ci si trovi, che sia esso culturale, religioso o di qualunque altro tipo.
Ecco questa legislazione fu senza dubbio il prodotto di un movimento di idee e di coscienza universale che si può considerare un esempio di “spirito del tempo”.[...]