Pantagruelica Italia
Il boom economico ha placato la fame atavica e rivoluzionato le abitudini alimentari
Nei ristoranti si servivano porzioni abbondanti di pietanze tradizionali. Minestroni ben conditi, gnocchi e fiorentine da un chilo. Era il trionfo della quantità. Un risarcimento per i miserevoli pasti magri degli anni crudi. In quegli anni tra Cinquanta e Sessanta, il menù proponeva il tris di primi, con risotto dove non si lesinava il burro, pasticcio di lasagne che navigava nella besciamella, e a completare il tutto ravioloni alla panna. Per poi procedere sulla stessa linea di arrosti grassi e bolliti misti senza risparmio.
In altre epoche solo la gran mangiata nuziale (spesso ininterrotto pasto, mezzogiorno e sera, senza soluzione di continuità) era occasione straordinaria per rimpinzarsi. Un’esibizione di abbondanza a scopo propiziatorio. Ora, in quell’Italia del “miracolo italiano”, in pieno fervore di ricostruzione, l’enfasi mangereccia toccava il colmo. C’erano da scordare gli anni della cinghia tirata, le tessere annonarie, la borsa nera.
Se nel 1951 un cittadino italiano consumava in un anno 625 chili di alimentari, dieci anni dopo ne metteva in dispensa 850 e 1052 nel 1971, che salivano a 1100 chili negli anni Ottanta. Quando la sazietà, e la sicurezza di trovare larga disponibilità di cibo anche l’indomani, era infine raggiunta......
di Ulderico Bernardi