Nel deserto sulle orme dei padri
Kim Haines-Eitzen registra i suoni dei luoghi che da sempre hanno attirato gli anacoreti. Uno studio che diventa una palestra di vita spirituale
Giovanni Gazzaneo e Silvia Guzzetti
Il silenzio è il respiro di Dio. Kim Haines-Eitzen ne ha fatto l’oggetto della sua ricerca: docente di cristianesimo e giudaismo delle origini alla Cornell University (Ithaca, Stati Uniti), registra di persona i suoni dei deserti, mettendoli in rapporto con i testi dei Padri della Chiesa. Nel volume Sonorous Desert. What deep listening taught early christian monks. And what it can teach us (“Deserti sonori. Cosa l’ascolto profondo ha insegnato ai primi monaci cristiani. E cosa può insegnare a noi”), edito dalla Princeton University Press, a ogni capitolo corrisponde un QR code che permette di ascoltare le registrazioni.
Il silenzio è ricco almeno quanto lo sono il suono e la parola perché il silenzio ha molti volti: c’è il silenzio legato all’amore, alla conoscenza, al senso di pienezza, e poi c’è il silenzio legato alla rabbia, al non aver più nulla da dire, alla delusione. Il silenzio che regna tra le persone che non si conoscono e poi il silenzio dei potenti o di chi esercita un potere, il silenzio legato al dominio. Il silenzio nelle situazioni imbarazzanti. E poi c’è il silenzio degli oggetti... E potremmo continuare. Come può il silenzio essere così “infinito”, abbracciare ogni aspetto delle passioni e delle relazioni umane?
I testi dei primi monaci del cristianesimo, come la Vita di Antonio, scritta dal vescovo Attanasio, e Le vite dei padri del deserto, dedicano molto spazio al concetto di silenzio che è una realtà molto più complicata dell’assenza di suoni. Per i padri del deserto stare in silenzio è indispensabile per raggiungere una consapevolezza della presenza di Dio e l’intimità con Lui. Il termine greco che usano per descrivere questo stato, hesychía, è sinonimo di solitudine, come stato esistenziale di assenza di parola. Stare in silenzio vuol dire ritirarsi nella propria cella. I primi monaci cristiani si interrogano perfino su quanti rumori possono fare quando mangiano o lavorano. Il termine greco che indica il rumore, ktupos, vuol dire distrazione, interferenza, qualcosa che ti scuote, che ti disturba e ti allontana dal tuo obiettivo. I monaci cercano di sfuggire ai suoni del mondo umano ma non riescono. Penso che il silenzio sia un’esperienza che desideriamo ma che è sempre rinviata e, quasi sempre, non raggiungibile. Come il silenzio anche la calma interiore è difficile da raggiungere. Come il silenzio anche la solitudine è difficile da vivere.
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