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Monachesimo, la rivoluzione dei padri del deserto

Nel III secolo in Egitto uomini e donne cercano il silenzio per vivere a contatto con Dio: nasce così il monachesimo

​Franco Cardini


Il deserto. Romanticismo, esotismo e civiltà coloniale hanno condizionato il nostro immaginario tanto profondamente che questa parola ci evoca immediatamente enormi distese sabbiose di dune, sul modello del Sahara nordafricano; già un po’ meno consueto, per noi, immaginarlo come un’ardua architettura di picchi rocciosi – il Nevada o il Colorado negli Stati Uniti – o una steppa simile al Gobi centroasiatico; eppure tutti questi sono “deserti”, come quelli ghiacciati artico e antartico.
Ma si tratta di un immaginario recente. Ancora fra Tre e Quattrocento il pittore Gherardo Starnina, dovendo illustrare la Historia Lausiaca (“Storia delle laurai”, vale a dire degli eremi anacoretici) di Palladio di Galizia, redatto un millennio prima di lui e che narrava le storie della “Tebaide”, il deserto attorno a Tebe nell’Alto Egitto, dipingeva un pittoresco scenario di montagna poco popolato sì, ma ricco di fonti e di animali. È così che ancora ci s’immaginava la solitudo, che per gli eremiti europei quali certosini e camaldolesi era fatta di boschi e di montagne. Tuttavia, certo, luogo privo di vita umana e attraversato invece dal soffio dello Spirito, dal fremito dell’aria percossa da ali angeliche o dal sibilo dei serpenti e dall’urlo dei demòni. In questo modo si traduceva, appunto in termini d’immaginario, l’aspirazione cristiana al silenzio, alla solitudine, al colloquio con se stessi, alla pace interiore o alla psychomachia, la lotta dell’anima contro la tentazione e il peccato.
Alle origini la religione cristiana si è sviluppata nella continua dialettica fra due aspirazioni: da una parte quella alla fuga dal mondo per rifugiarsi nel pensiero d’una parola divina che insegnava a disprezzare i beni terreni e soprattutto il potere e la ricchezza; dall’altra quella all’amore del prossimo, alla carità, che invece induceva a impegnarsi nella vita di quaggiù. Espressione di questo impegno, nei primi secoli, erano stati i martiri, i quali avevano offerto la loro vita per essere i testimoni del Cristo e quindi salvare la vita eterna dei fratelli. Espressione dell’istanza di negazione della vita terrena furono invece i cosiddetti “monaci” i quali, in forme differenti, accettarono di volger le spalle alle lusinghe e ai piaceri del mondo – fu questo il loro cosiddetto “martirio incruento” – per darsi alla contemplazione. [...]