Misericordia l'ultima parola
Per Bigongiari, Dylan Thomas, Leopardi è un uncino capace di risollevare una vita
Qualche anno fa, quando quasi nessuno parlava di “misericordia” se non qualche santo – a un concorso di poesia denominato “inediTo” che si svolge ogni anno presso il Salone del Libro di Torino decidemmo di premiare un manipolo di poesie, così da permetterne la pubblicazione. Il libro raccontava la storia di un internato al manicomio di Volterra. Quel povero Cristo, Oreste Fernando Nannetti, è divenuto un poco celebre perché lungo i sedici anni della sua permanenza in quel luogo di ombre e sofferenze ha realizzato con la fibbia un graffito di parole visionario su un muro di sedici metri. Nel libro, titolato dalle iniziali e dal numero del padiglione N.O.F.4, l’autrice Maria Grazia Carraroli racconta in poesia che alla sua morte era rimasto giusto lo spazio di una parola in quel muro tutto segnato. E allora un suo compagno aveva voluto porre come parola finale a quel delirio di segni un termine, se pur sgrammaticato: “mese recodia”.
Questo particolare mi aveva fulminato e commosso. Quale altra parola può esser la finale adeguata a questa nostra vita piena di delirio e di pena, colma almeno quanto – se non di più – di gioia e godimento? Quei due internati a Volterra avevano visto giusto.
La parola sgrammaticata della misericordia è l’unica che può dire, adeguatamente, la vita. La può chiudere in un senso che è quasi un non-senso per le nostre piccole menti.
La misericordia è un’altra grammatica rispetto alle misure nostre di senso e di comunicazione. Perciò riguarda la poesia. Come la poesia, del resto, la misericordia non è consolatoria. Piuttosto è benzina, un carburante che sale dal mistero che si trova nel segreto motore del mondo.
di Davide Rondoni