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Manzoni il poeta e la storia

Nel pensiero e nell’opera di Manzoni il passato viene letto anche in chiave contemporanea

​Franco Cardini

Se il Settecento fu il “Secolo della Ragione” e il Novecento è stato quello che Jünger ha potuto definire “il Secolo dei Culti”, l’Ottocento fu davvero “il Secolo della Storia”: e della fede nella storia, dello storicismo, della storiografia. Nulla di cui meravigliarsi pertanto ch’esso fosse anche il secolo delle polemiche sul senso, i caratteri, i metodi della storia.
Partendo dalla considerazione che il progresso nelle ricerche storiografiche aveva reso straordinariamente complessa la ricostruzione della verità storica e dalla convinzione che una sia pur condizionata e convenzionale deroga rispetto a tale verità non fosse eticamente sostenibile, Alessandro Manzoni cominciava a scrivere nel 1841 e pubblicava nel 1850 un suo celebre saggio dal non breve titolo Del romanzo storico e in genere dei componimenti misti di storia e d’invenzione, in cui affermava che una sintesi estetica di verità storica e d’invenzione romanzesca era impossibile e improponibile: con ciò approdando a una rigorosa condanna del­l’intero “genere letterario” del “romanzo storico”. Frattanto però, nel 1842, egli aveva concluso la terza e definitiva stesura dei suoi Promessi sposi, dimostrando come un’ampia e profonda conoscenza della storia fosse di fatto conciliabile con una non invasiva costruzione di un racconto romanzesco che ne rispettasse caratteri, limiti e connotati.
Vero è che tre o quattro generazioni più tardi il crocianesimo, insorgendo a sua volta contro il concetto stesso di “genere letterario”, avrebbe rimesso tutto l’assunto manzoniano, e non solo quello, in discussione. Ma l’esser crociani, grazie a Dio, non è mai stato obbligatorio, neppure nel­l’Italia tra gli anni Trenta e Cinquanta del Novecento: e l’autore di queste righe, che si era posto tale genere di problemi nell’arco dei suoi studi universitari conclusi entro il primo lustro degli anni Sessanta, si sentiva al riguardo semmai gentiliano: e come tale gli erano sommamente uggiose le categorie di “poesia-non poesia”.
D’altronde, come diceva appunto il Manzoni, più che cercar lontano è meglio scavar vicino. E in realtà, al tempo di don Lisander, vale a dire fra 1785 e 1873 - gli ottantotto anni della sua per allora lunghissima vita -, tutto parlava di storia e di romanzo storico. Ivanhoe di Scott, La disfida di Barletta di D’Azeglio, La battaglia di Benevento di Guerrazzi, Guerra e pace di Tolstoj, sono romanzi storici. Nei Promessi sposi, utilizzando l’escamotage dell’opera perduta e ritrovata, Alessandro Manzoni descrisse avvalendosi di un’ampia e accortamente selezionata documentazione storica l’epidemia di peste del 1630 a Milano; mentre nella Storia della Colonna infame richiamava la celebre opera del filosofo e giurista Cesare Beccaria Dei delitti e delle pene, concepita fra 1763 e 1764 e stampata in quell’anno a Livorno.
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