L’ultima notte, il primo giorno
Dalla sera dell’Ultima cena al buio del Golgota fino al Sabato santo sulla terra scende un’ombra densa: ma dell’amore più grande e paradossale
Ermes Ronchi
In quell’ultimo giovedì, al tramonto, Gesù pronuncia parole terribili su del pane e del vino. Parla di un corpo spezzato, di sangue versato. Di un uomo consegnato. Cosa è stata la vita di Gesù se non un continuo e appassionato consegnarsi? Neppure il suo corpo ha tenuto per sé: “prendete e mangiate”; neppure il suo sangue: “prendete e bevete tutti”.
Sera del tradimento, che inizia con l’abbraccio degli amici e termina in catene. Sera dell’abbandono: e, abbandonatolo, fuggirono tutti.
È difficile immaginare una celebrazione dell’amore più realistica dell’Ultima cena. Non ha niente di romantico, è uno scontro con la complessità dell’amore, con i suoi conflitti e la sua vittoria finale.
È il momento della crisi, quando Gesù passa per il fuoco; il momento in cui tutto è esploso, tutto sembra finire. Dice ai suoi discepoli semplicemente e liberamente che è arrivata la fine, che uno di loro lo ha tradito, che Pietro lo rinnegherà, che gli altri fuggiranno, nella notte, ingoiati dalla paura. Eppure lava loro i piedi.
Volete sapere qualcosa di voi e di me? – dice Gesù a discepoli e discepole di ogni tempo – Vi do un appuntamento: uno che è posto in basso. Che cinge un asciugamano e si china a lavare i piedi ai suoi. Li lava perfino a Giuda, che lo tradisce.
Chi è Dio? Il mio lavapiedi. In ginocchio davanti a me. Le sue mani sui miei piedi. Davvero, come a Pietro, ci viene da dire: no, un Dio non può fare così. Tu sei tutto matto, Signore. E Lui: sono come lo schiavo che ti aspetta, e al tuo ritorno ti lava i piedi. Ha ragione Paolo: il cristianesimo è scandalo e follia.
Questi sono i giorni della “vendetta di Dio”, quando si vendica delle nostre fughe inginocchiandosi ai nostri piedi; si vendica della nostra superficialità entrando nel più profondo di ognuno, come pane.
Adesso capiamo chi è Gesù: è bacio a chi lo tradisce.
Non spezza nessuno, spezza se stesso. Non versa il sangue di nessuno, versa il proprio sangue. Non sacrifica nessuno, sacrifica se stesso.
Gesù, non ha fuggito la crisi, l’ha affrontata. Ha preso il tradimento, il fallimento dell’amore, l’incomprensione dei suoi, e invece di giudicare, accusare, rimproverare, invece di rimandarli a casa, al lago, al banco, alle barche, perché non hanno capito, non ce la fanno, inventa qualcosa di inedito per educarli ancora, per aiutarli ancora a capire, per farli salire, su verso il suo sogno (Marina Marcolini).
Avrebbe potuto lasciarli lì, ricominciare altrove. Invece ha rilanciato la posta. La strategia educativa di Gesù è “portare su”, più in alto, allargare orizzonti, far respirare aria più pura: Voi mi abbandonate e io mi metto nelle vostre mani. Voi mi consegnate perché mi uccidano e io mi consegno a voi. Quando non ci sarò più potrete ancora mangiare e bere di me. Immensa vulnerabilità dell’atto d’amore. Bello è chi ti ama. Bellissimo è chi ti ama fino all’estremo.
Inizia l’ultima notte, notte di preghiera senza risposte, di amici che invece di vegliare dormono, ed erano i tre preferiti. Notte del traditore chiamato “amico” e della cattura: allora tutti lo abbandonarono e fuggirono. Tutti per tutt’altra strada. Via da quell’uomo pericoloso, da quel reprobo; dimenticati gli anni del gioioso e libero vagabondare lungo il lago, e il pane nelle ceste che non finiva mai. Adesso basta illusioni, troppo rischioso stare con lui.
Infatti, bastano poche ore ed è già tutto finito. (...)