L’abbraccio oltre il portale eccoci a casa
Entrare in una chiesa medievale ci fa sentire parte di una grande storia, e l’arte e lo spirito sono un respiro
Maria Antonietta Crippa
Accade, sostando in una chiesa non distrattamente ma perché attratti dalla sua antica bellezza, oppure per partecipare a celebrazioni liturgiche o anche solo per necessità di un momento di raccoglimento in noi stessi, di avvertire una straordinaria corrispondenza tra la nostra umanità, corporea e spirituale, e lo spazio che ci avvolge, non come anonimo involucro ma con ritmi e forme peculiari, e luci cangianti e mobili che investono i muri, nudi o dipinti, segnati dalla storia. Ci sorprende allora un’improvvisa gioia, come per un dono inatteso che stupisce e acuisce di colpo lo sguardo. Tutto, nel silenzio, si fa racconto che leggiamo con attenzione, mentre ci invade una sensazione di bellezza diffusa, quasi palpabile. Lo spazio da sconosciuto diventa presto segno familiare di una grande fraternità ecclesiale e ci lascia scoprire la sorgente di grazia del dono che ci ha investito: sull’altare maggiore, una luce richiama alla Presenza umano-divina che il luogo custodisce.
Il risveglio di questo senso del bello non è, dunque, solo di natura estetica, fisio-psicologica, tuttavia necessaria, imprescindibile anzi. Certo, l’inventiva e la sapienza del costruttore hanno composto, con pietre o con mattoni, un’armonia musicale che si ascolta con gli occhi: grazie ad essa l’oeil écoute, direbbe Paul Claudel evocando la forza dell’esperienza sinestetica che coagula le umane capacità sensitive. Eventuali cicli pittorici, sculture e ornati possono esaltare il messaggio di salvezza di cui tutto qui è veicolo. Il tutto del luogo e ogni sua parte diventano, dunque, soglia alla percezione dello spessore comunitario, dell’appartenenza alla Chiesa universale che il luogo trasmette come sua concreta ragion d’essere. Quest’ultima, lo si apprende nell’abitudine di molte visite, resta talvolta percepibile seppur velata anche quando la chiesa non è più officiata.
Il nome di questa esperienza è quello proprio della pienezza della vita cristiana come vita umano-divina. Si potrebbe anche volerla ignorare, tacerla a sé stessi attestandosi sul pur sempre suggestivo livello estetico, ma sarebbe decisione generata da un riduttivo uso della nostra capacità di giudizio e della concezione stessa di ciò che chiamiamo arte. Con formula ridotta ai minimi termini siamo, invece, spinti a dire: accade in noi un’evidenza di bellezza che è splendore del Vero. La domus ecclesiae in cui ci troviamo è anche domus Dei, o meglio è domus dell’incontro attuale, odierno, nostro e del popolo al quale apparteniamo, con Dio, è comunione in Lui. Di questo incontro è partecipe anche la sua qualità artistica.
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