Leopardi, la luce oltre la siepe
“L’infinito” è il racconto di un’esperienza rivelatoria. In cui è centrale la reminiscenza biblica
Davide Rondoni
Infinito non è un problema filosofico o letterario. È innanzitutto umano, esistenziale. Lui, Leopardi, dice: «Dove trova piacere l’anima aborre che sia finito». Se non provassimo dispiacere quando finisce una cosa che ci piace (una vita amata, una bella esperienza, una cosa buona) non avremmo il problema dell’infinito. Che dunque riguarda e urge da dentro la nostra stessa natura umana. È un problema che identifica la nostra natura.
Leopardi aggiunge: «Non solo la facoltà conoscitiva, o quella di amare, ma neanche la immaginativa è capace di concepire qualcosa di infinito, ma solo dell’indefinito, e di concepire indefinitamente».
Festeggiare L’infinito è dunque festeggiare qualcosa che ci riguarda tutti. La poesia, come altre arti, e questa particolare poesia, è un elemento che unisce prodigiosamente parti opposte di Italia. Non molte altre cose come la presenza della poesia e dell’arte uniscono regioni e stili e parti di Italia anche lontani tra loro. E non si tratta di una “cosa” e nemmeno una “idea”.
«C’e` un concetto che corrompe e altera tutti gli altri», scrive Jorge Luis Borges in Otras Inquisiciones. E aggiunge: «Non parlo del Male, il cui limitato impero e` l’Etica, parlo dell’Infinito». La poesia, infatti, è luogo vivificato da quel che Borges chiama “corruzione” dei concetti. Tanto è vero che nel linguaggio poetico noi possiamo concepire esperienze, visioni, idee grazie a metafore, paradossi, antinomie, parole “insensate”. In quale contesto marittimo, nave o porto o scuola di navigazione, potremmo usare «naufragar m’è dolce» senza passare per matti o inopportuni? Del resto Giuseppe Ungaretti, riflettendo su Dostoevskij, vedeva nell’arte presentarsi «il mistero e di pari passo la misura». Fare un testo misurato, quasi geometrico, “finitissimo”, per indicare una esperienza possibile dell’infinito è stata una strana scommessa. Be’, ci è riuscito. Ha compiuto un cambio di direzione al senso di questa parola, portandola dalla cultura greca e latina, dove “àpeiron” è ritenuta segno distintivo del tremendo e dell’informe, e quindi del negativo, alla cultura biblica e cristiana, grazie alla quale se oggi chiunque di noi dice “infinitamente” prevale un senso positivo. Ma vedremo...