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Leonardo da Vinci e la città dell'uomo

Leonardo si propose alla corte sforzesca di Milano come abile ingegnere e architetto I suoi progetti rivelano la dimensione umanistica del suo pensiero

​Maria Antonietta Crippa


A Milano, nel ducato retto da Ludovico il Moro, Leonardo arrivò nel 1482 trentenne e già celebre, e vi tornò nel 1506, chiamato dal governatore Carlo d’Amboise che lo incaricò di predisporre i festeggiamenti per l’ingresso di Luigi XII nel 1507 e lo nominò peintre ordinaire et ingénieur del re di Francia. Stimolarono la sua creatività molte città come: Pavia, Vigevano, Mantova, Venezia, Firenze, negli anni del gonfaloniere Pier Soderini, e Roma, guidata dal pontefice Leone X. Tuttavia si riconosce universalmente che il primo soggiorno in Milano e il rapporto con questa città identificano il periodo e il luogo della più fertile e brillante esplosione del talento vinciano di artista-scienziato.
Leonardo, che a Milano avrebbe realizzato alcune delle sue opere più celebri (la Vergine delle rocce, la Dama con l’ermellino, gli studi conclusi nel disegno dell’Uomo Vitruviano, il dipinto murale dell’Ultima Cena nel refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie), si propose a Ludovico il Moro scrivendogli, tra le altre cose: «In tempo di pace credo satisfare benissimo a paragone de omni altro in architettura, in composizione di edifici pubblici e privati, et in conducer acque de uno loco ad un altro». All’indomani di una grave epidemia di peste abbattutasi sulla capitale sforzesca nel 1485, ne propose, in uno schizzo planimetrico e prospettico, l’avveniristico sviluppo radiale con formazione di piccoli nuclei urbani esterni. Contemporaneamente disegnò edifici religiosi a pianta centrale, in combinazioni geometriche frutto di attenta considerazione di alcuni antichi edifici milanesi che aveva potuto ammirare: il piccolo sacello di San Satiro e la grandiosa basilica di San Lorenzo, alla quale rivolse la propria attenzione, come è noto, anche Donato Bramante (1444-1514).
Leonardo intervenne al Castello Sforzesco lasciando straordinari decori nella Sala delle Asse, i cui ultimi restauri, ricchi di sorprese, verranno conclusi e resi accessibili al pubblico nel corso dell’anno. Entrò nel lungo dibattito sulla costruzione, ritenuta alquanto rischiosa, del tiburio del duomo milanese, dibattito che vedeva coinvolti i pragmatici ingegneri lombardi – sovraintendenti al gigantesco cantiere avviato nel 1386 –, gli esperti francesi e tedeschi, di volta in volta chiamati a consulto, e, nell’ultima fase, gli umanisti Luca Fancelli, Bramante, Francesco di Giorgio Martini. In alcuni disegni del Codice Atlantico conservati presso la milanese Biblioteca Ambrosiana, propose il consolidamento della base del tiburio tramite nervature per la ripartizione dei carichi verticali, con sovrapposizione di cupola a doppia calotta. Non pochi studiosi, Piero Marani tra gli italiani, ancora esplorano i connotati caratterizzanti la sua proposta, individuando in particolare connessioni con i principi del De Architectura di Leon Battista Alberti, trattato che Leonardo possedeva.
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