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Le strade infinite del romanzo

Tra geografie fantastiche divenute reali e luoghi quotidiani entrati nel mito: dal Mississippi ai caffè di Trieste

Ferruccio Parazzoli (Miki).

Ferruccio Parazzoli (Miki).

​Scrivere è un verbo che apprezza particolarmente la compagnia dei complementi di luogo. Si scrive a partire da una posizione (il moto da luogo coincide con il punto di vista, inevitabile in ogni racconto) e intanto si indica una direzione (un moto a luogo c’è sempre, nonostante le intenzioni e illusioni dell’autore: la favola ne sa sempre più di noi, perché ogni favola comporta la sua morale).
Si scrive, anzitutto, nella necessità dello stato in luogo. Seduti da qualche parte oppure in piedi, come preferivano tra gli altri Hemingway e Goethe. E descrivendo un qualche posto, reale o immaginario che sia. Tanto anche quelli reali assumono nella scrittura la patina della finzione e la finzione stessa ha, in parallelo, il potere di rendere reale l’immaginazione. Prendete l’opera di Tolkien, se non siete convinti. Dove vi orientate meglio: tra le aule di Oxford, dove il professore visse e insegnò, o per le contrade della Terra di Mezzo, a fianco di Sam Gamgee e di padron Frodo, dello spodestato Aragorn e dell’incantevole Arwen? E con le peripezie della Compagnia dell’Anello siamo al moto attraverso luogo, il dispositivo itinerante che permette di riconoscere in ogni grande storia lo schema, più o meno consapevole, del viaggio iniziatico, del cammino mediante il quale ci si perde e ci si ritrova, scoprendo presto o tardi di che pasta si è fatti. Contrariamente a quello che si pensa, la grammatica non è per la letteratura una controparte arida e soffocante, quasi un male necessario al quale ci si rassegna con rassegnazione.
Se non abita una lingua, uno scrittore non abita da nessuna parte. Per questo gli autori che più sono stati capaci di costruire mondi sono anche quelli che conoscevano bene il proprio microcosmo, non importa quanto appartato o periferico potesse apparire......

 

 di Alessandro Zaccuri