Le pupille degli dei
Dall’antico Egitto ai miti del Valhalla fino alla simbologia cristiana, gli occhi della divinità sono potentissimi
Franco Cardini
L'occhio è organo centrale nella simbolica del corpo: esso rinvia alla visione e quindi alla percezione e alla sapienza; il latino video come il greco antico oida hanno la stessa radice del sanscrito veda, che significa “saggezza”, “conoscenza”, e che dà il nome alla più antica raccolta di testi sacri in sanscrito. I testi vedici identificano i due occhi come il sole e la luna (e, per contro, i due astri diurno e notturno come gli occhi dell’universo); analoga tradizione si riscontra nel taoismo cinese e nello shintoismo giapponese. L’Occhio unico ha valore di potenza assoluta: il sole è detto in numerose tradizioni “Occhio dell’Universo” e rinvia all’onniscienza. Così, l’occhio è associato nell’induismo al dio Agni e nel buddhismo al Buddha stesso; induismo e buddhismo hanno usato le piume del pavone, in quanto disseminate di disegni simili a occhi, per indicare la conoscenza universale. Nella tradizione shivaitica, il terzo occhio in mezzo alla fronte richiama alla conoscenza spirituale: anche tale simbolo è passato al buddhismo. Le statue del Buddha e gli stupa a lui dedicati sono sempre muniti di coppie di occhi che si abbassano come in uno stato di meditazione. Il buddhismo conosce due tipi di occhi: il primo è quello interiore o occhio della saggezza, che vede il mondo del Dharma (ossia dell’ordine cosmico), ed è conosciuto anche come Terzo Occhio del Buddha; il secondo è chiamato occhio esterno o materiale perché vede la realtà evenemenziale.
Nella tradizione egizia la simbolica dell’occhio non è meno complessa. Gli antichi egizi usavano il simbolo dell’occhio ornato di bistro, detto Ugiat, come simbolo di energia magica – che poteva essere positiva o distruttrice – e di purificazione: particolare valore per loro aveva l’occhio di fuoco del dio Râ, associato al cobra, e quello di Horus, associato al falco (la tiara del faraone, in realtà combinazione di due copricapi incastrati l’uno nell’altro, era di due colori: il bianco dell’Alto Egitto, collegato al falco di Horus, al candore freddo delle grandi cascate d’acqua e alla luna, e il rosso del Basso Egitto, collegato al cobra di Râ e all’ardore del sole). Il neoplatonico Plotino avrebbe sviluppato l’idea egizia dell’occhio fonte di luce e di calore igneo. L’Occhio di Râ funzionava a sua volta come elemento femminile all’interno della virilità del dio; era un’estensione del suo potere, equiparato in quanto tale al disco del sole, ma si comportava anche come un’entità indipendente femminile, che poteva essere personificata da una grande varietà di dee. La dea Occhio agiva come madre, sorella, consorte e figlia del dio sole. Era la sua compagna nel ciclo creativo in cui egli generava la forma rinnovata di se stesso che nasceva a ogni alba.
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