Luoghi dell' Infinito > Le labbra e il cuore di Cristina Campo

Le labbra e il cuore di Cristina Campo

Poetessa sublime e schiva, innamorata della parola, riconduceva tutto alle radici della liturgia

​Cristiana Maria Dobner

«Una scrittrice che ha lasciato una traccia di poche pagine imperdonabilmente perfette, del tutto estranee a una società letteraria che non aveva occhi per leggerle. Ma sono pagine che troveranno in futuro i loro lettori, e allora appariranno come una sorpresa davvero sconcertante». Potrebbe sembrare il rimpianto di un amico invece Roberto Calasso esprime una profezia sul “Corriere della Sera” dopo la morte di Cristina Campo, pseudonimo di Vittoria Guerrini, nella notte tra il 10 e l’11 gennaio 1977, a Roma.
Cristina scrittrice inclassificabile. Sorpresa oggi davvero “sconcertante”: per me invece si tratta di riagganciare il filo gettato da Lorenzo Baldini, giovane pianista poi mio cognato e padre, a sua volta, di artisti e di musicisti. Guido Guerrini, quando Lorenzo studiava all’Accademia di Santa Cecilia, ne era a capo e la sua composizione Due tempi da concerto, diretta da Carlo Zecchi, avrebbe dovuto essere eseguita proprio da Lorenzo. Il progetto, purtroppo, fallì ma l’amicizia rimase. La figlia di Guerrini, Vittoria, frequentava i concerti della Basilica di Massenzio, da qui in lei la polla sorgiva della musicalità sempre sottesa al suo periodare. Il giovane Lorenzo ne fu catturato e mi contagiò, perché l’ascolto della musica classica come scrisse Cristina «sa tutto e dice tutto», «dove sole era l’ombra ed ombra il sole, / tra gli affanni sopiti». Lorenzo, successivamente, negli anni ’90, in duo con il figlio Emmanuele, violinista, terrà un concerto a Firenze nella sala dedicata a Cristina Campo.
Vittoria Guerrini nasce a Bologna il 29 aprile 1923. Fra il 1950 e il 1952, a causa di una malattia congenita al cuore, crebbe isolata dai coetanei e non seguì regolari studi: la sua formazione però fu eccellente grazie ai genitori e agli insegnanti privati. In casa Guerrini vigeva una regola: leggere sempre i classici nella lingua originale: «Avevo nove o dieci anni… pregai mio padre di lasciarmi leggere qualche libro della sua biblioteca. Egli, con un gesto, l’escluse quasi tutta: “Di tutto questo, nulla” mi disse; poi, indicandomi una scansia separata: “Questi sì, puoi leggerli tutti, sono i russi. Troverai molto da soffrire ma nulla che possa farti male”». La giovane Vittoria imparò la lingua inglese leggendo Shakespeare, gettando così le fondamenta della futura traduttrice. Studiò Omero, Dante, Leopardi, e si appassionò alle fiabe che «insegnano a spiccarsi il cuore dalla carne… Poiché con un cuore legato non si entra nell’impossibile».
[...]