Le icone russe cantano Maria, casa di Gesù
Nelle immagini della tradizione orientale si concentrano teologia e vertigine poetica
Giovanna Parravicini
«Il Figlio eterno e ineffabile di Dio, Dio nostro egli stesso, vinto da tenero amore scese nel mondo per ritrovare la sua creatura smarrita, e in modo sapiente e divino, da Dio qual era, si mise alla sua ricerca», canta l’innografo bizantino Romano il Melode (VI secolo), riecheggiando il misterioso passo scritturistico: «Nel quieto silenzio che avvolgeva ogni cosa, mentre la notte giungeva a metà del suo corso, il tuo Verbo onnipotente, o Signore, è sceso dal cielo, dal trono regale» (Sap 18,14-15), che la Chiesa propone nella liturgia di Natale.
L’incarnazione di Cristo non è semplicemente il rimedio offerto alla colpa di cui, in Adamo ed Eva, si è macchiata l’umanità, ma il momento culminante del sempiterno disegno del Padre, l’inaudita “rivoluzione” operata nel creato dalla sua tenerezza per la creatura. Cristo è venuto al mondo per dare compimento alla creazione, per instaurare con ogni uomo un dialogo intimo e personale. Per questo l’icona – specchio della redenzione – ha di mira la storia universale, assume come suoi interlocutori Adamo ed Eva, i profeti e i patriarchi, i re e i giudici del popolo ebraico, e addirittura i sapienti e gli oracoli del mondo pagano. E, nel contempo, la quotidianità nascosta della casa di Nazareth e della grotta di Betlemme. Come ha detto papa Francesco, «Maria è colei che sa trasformare una grotta per animali nella casa di Gesù, con alcune povere fasce e una montagna di tenerezza» (Evangelii Gaudium, 286).
“La casa di Gesù”: è la metafora della Chiesa, della comunità cristiana, in quanto luogo dei convocati insieme a rivivere il mistero di Gesù nella loro vita, a essere sua dimora, ognuno secondo un proprio cammino, una propria vocazione. Come dice il beato Isacco della Stella (1100-1169): «Cristo rimase nove mesi nel seno di Maria, rimarrà nel tabernacolo della fede della Chiesa fino alla consumazione dei secoli; e, nella conoscenza e nell’amore dell’anima fedele, per i secoli dei secoli»
Come non accorgersi che la «grotta per animali» è la vita disumana che sovente si conduce, nelle periferie materiali ma anche spirituali di oggi, quando tra persone che vivono gomito a gomito, che condividono perfino gli aspetti più intimi del vivere si erigono barriere insormontabili di indifferenza, risentimento, estraneità… La tenerezza di Dio consiste nell’offrire, in Cristo, una casa all’uomo che muore sulla strada, senza patria, senza dimora, nel creare luoghi – fisici e spirituali – dove questi possa sentirsi finalmente a casa propria.