Le domande che toccano il cielo
L’eternità è un’intuizione cristiana, la filosofia l’ha messa al centro della riflessione. La vera vertigine è teologica
Sergio Givone
Il solo modo che abbiamo di farci un’idea, sia pur vaga, dell’eternità, è per via contraria. Ossia partendo dal concetto di tempo. Eterno è ciò che non è temporale, ma è al di là del tempo e non conosce né passato né futuro. Eterno è l’essere che non può non essere di Parmenide (to on), è l’essere che è eternamente e necessariamente di Aristotele (aion), eterno per i cristiani è Dio, che tra i suoi molti nomi ha anche l’Eterno (gli dei greci sono immortali, non eterni, infatti non conoscono la morte ma conoscono la nascita).
Naturalmente un conto è parlare dell’eterno in senso avverbiale e un altro conto parlarne in senso sostanziale e cioè con la E maiuscola (l’Eterno). Un conto è dire che l’essere è eternamente, e tutt’altro conto è proporre una nozione come quella di aeternitas di cui non esiste l’equivalente greco. E allora la domanda è: che cosa ha fatto sì che nel passaggio dal mondo greco al mondo cristiano l’eternità acquistasse un valore che prima non aveva e venisse identificata con l’essenza stessa di Dio? Molti fattori, naturalmente. Ma uno in particolare. Ed è che il tempo a un certo punto ha cessato di essere una questione della fisica per diventare una questione della metafisica. Una questione dell’anima, della coscienza, della spirito, una questione che riguarda non tanto i fenomeni esteriori quanto il nostro modo di percepirli.
Secondo Platone il tempo comprende e abbraccia tutti i tempi, tutte le epoche del mondo. Perciò il tempo è da lui definito “immagine mobile dell’eterno”. Anche per Aristotele il tempo ha sempre lo stesso ritmo, lo stesso andamento. Il tempo gli appare come la misura (la scansione) del movimento secondo il prima e il poi. Entrambi mettono il tempo in relazione con l’eternità, anziché contrapporlo a essa, come comunemente accade. Per i due massimi pensatori antichi l’eternità non è che uno sfondo su cui si staglia la scena del mondo. L’eternità non è certo Dio. Sia Platone sia Aristotele pensano l’eternità allo stesso modo in cui Anassimandro pensava l’infinito, ossia l’apeiron, che non è infinito ma illimitato, senza limite, origine e fine di tutte le cose (le quali vengono dal nulla, finiscono nel nulla e trovano il loro profilo in quel tanto o poco di tempo assegnato a ciascuna). Qualcosa insomma più simile al nulla che non all’essere.
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