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Le croci di Giotto e l'arte riminese

La presenza del pittore fiorentino nella città, crocevia della storia, ha dato vita non solo a una scuola locale ma soprattutto a una autentica lingua pittorica nazionale

​Antonio Paolucci

Rimini “caput viarum”. Con questo titolo era definita la città adriatica: da qui partiva la via Popilia che conduceva ad Adria; qui concludeva il suo percorso la consolare Flaminia, e aveva origine l’Emilia che, costeggiando il bordo meridionale della Val Padana, portava a Piacenza. L’arco del­l’imperatore Augusto, edificato al punto di giunzione fra la Flaminia e l’Emilia, è stato la cruna dell’ago dell’Italia storica. Tutti sono passati da lì. Anche l’esule Dante diretto alle città dell’Italia padana, anche Giotto proveniente dal cantiere di Assisi. Tutto questo per dire che Rimini è stata, storicamente, per la sua stessa collocazione geografica, uno straordinario punto di incontro e laboratorio delle suggestioni culturali più diverse.
Sappiamo, sulla scorta delle notizie tramandate dalla Chronica coeva di Riccobaldo Ferrarese, che Giotto è stato attivo a Rimini con un ciclo di affreschi – andati perduti – nella chiesa di San Francesco (poi destinata a diventare il Tempio Malatestiano). E proprio a Rimini la sua arte ha dimostrato di poter diventare lingua figurativa nazionale, declinando nei modi di una scuola che ha in Giovanni da Rimini, nei primi anni del XIV secolo, il suo capostipite.
Gli affreschi con le Storie della Vergine che Giovanni realizza nella chiesa di Sant’Agostino segnano l’incipit della scuola riminese del Trecento, che si colloca al punto di giunzione fra la lezione giottesca e il perdurare di preziose nostalgie del­l’arte bizantina.
È possibile che Giovanni da Rimini abbia fatto parte della squadra che, alle dipendenze di Giotto, ha lavorato ai perduti affreschi del San Francesco. Certo è che egli è stato l’iniziatore di una scuola pittorica familiare che comprende, oltre a lui, Giuliano e Pietro, e risulta operosa fino alla metà del XIV secolo.
Nel Novecento due grandi mostre hanno studiato la pittura riminese del Trecento: la prima nel 1935, curata da Cesare Brandi, la seconda sessant’anni dopo (1995), firmata da Daniele Benati. L’una e l’altra esposizione hanno dimostrato la dipendenza dei pittori riminesi del XIV secolo (Giovanni, Giuliano, Pietro) dai modelli di Giotto, soprattutto del ciclo assisiate. L’una e l’altra ci hanno fatto intendere i caratteri straordinariamente preziosi di questa singolare varietà della lingua figurativa giottesca.
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