Le case (e i giardini) di Alessandro Manzoni
Milano, Parigi, i laghi e le ville di Lombardia: Manzoni ha vissuto molti luoghi, facendone sempre un vero “habitat” familiare
Jone Riva
Alessandro Manzoni nasce il 7 marzo 1785 a Milano, al numero 20 di via San Damiano, attuale via Visconti di Modrone 16, nell’abitazione presa in affitto da Pietro Manzoni per portarvi la giovane sposa Giulia Beccaria.
La ventenne Giulia in quella casa si sentiva a disagio, per la presenza del marito, un gentiluomo modesto, anziano, di scarsa cultura, privo di qualunque atteggiamento mondano, che non corrispondeva ai suoi desideri: era stato scelto per lei dal padre Cesare, perché aveva accettato di sposarla senza una dote pari al suo rango, e da Pietro Verri, che sperava nella rottura della relazione tra suo fratello Giovanni e la stessa Giulia. La giovane sposa si sentiva a disagio anche perché la casa non era “in quel cerchio magico” il cui fulcro era il palazzo al 6 di via Brera dove era nata. Era preferibile, ma ugualmente non gradito, il soggiorno a Lecco, nella villa del Caleotto, di proprietà della famiglia Manzoni, scesa a Lecco da Barzio in Valsassina in anni lontani, desiderosa di espandere le proprietà e di consolidare la nomea di potenti signorotti. Un aneddoto narra che i Manzoni venivano paragonati per potenza e prepotenza alla furia devastante del torrente Pioverna in piena.
Neonato, Alessandro viene affidato alla balia Caterina Panzeri che abitava a Galbiate: qui troverà l’affetto che la madre, separatasi da Pietro Manzoni, innamoratasi di Carlo Imbonati, trasferitasi a Parigi, non gli seppe dare. Il collocamento in collegio secondo le abitudini delle famiglie nobili, a sei anni, segna per Alessandro un periodo di grande solitudine, che ogni ritorno a casa, accolto da un padre anziano, severo, deluso e amareggiato, non potrà colmare.
Ma il Caleotto, con i monti, i pendii, la natura circostante, rimase nella sua mente e nel cuore: lì ambienterà il suo romanzo, confessando, nell’apertura del Fermo e Lucia, che non avrebbe esitato a definire quel paesaggio «uno dei più belli del mondo, se avendovi passata una gran parte della infanzia e della puerizia, e le vacanze autunnali della prima giovinezza, non riflettesse che è impossibile dare un giudizio spassionato dei paesi a cui sono associate le memorie di quegli anni». Nel 1819 Manzoni cedeva la casa paterna a Giuseppe Scola. Invitato a Lecco, esprimerà il suo rimpianto: «Non mi parli più del Caleotto: non vi tornerei che per piangere».
A vent’anni, dopo un soggiorno a Venezia, dove il padre lo aveva mandato ospite di un cugino, per allontanarlo da amicizie moralmente e ideologicamente pericolose, raggiunge, il 12 luglio 1805, la madre a Parigi, in rue Saint Honoré 71. E qui proverà sentimenti sconosciuti fino ad allora grazie all’accoglienza finalmente materna della “sua” Giulia, che diviene vicinanza intelligente e amorosa, intuizione dei suoi desideri e dei suoi bisogni, ascolto delle sue confidenze, compagna inseparabile. Giulia accoglie come suoi gli amici italiani del figlio e lo introduce nel contesto delle sue amicizie francesi: è la rivelazione di un nuovo orizzonte culturale. La voce di Manzoni prende una diversa direzione stilistica e morale: compone In morte di Carlo Imbonati, il compagno che la madre, con il suo rimpianto, gli fa conoscere. Apparendogli in sogno, quell’uomo “virtuoso” lo sprona a ricercare il vero, l’utile e il bello, ad assumerli come condotta di vita.
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