La strada dell’Eden, il giardino della giustizia
Adamo aveva dato a ogni cosa il suo nome: unico, irripetibile e perduto. Nella poesia affiora la memoria di quel luogo e l’affetto per la sua mancanza. E nel desiderio di curare giardini: non importa se di una reggia o in un vaso sul balcone
Giovanni Cesare Pagazzi
Tirreno, Adriatico, Indiano, Ponto, Egeo, Ionio, Atlantico, Mar Rosso e tanti mari ancora. Danubio, Reno, Po, Giordano, Tevere e Rodano… In poche righe si percorre gran parte dell’idrografia conosciuta allora. Piante e radici medicinali, abeti, rose, viti, pioppi, cipressi, faggi, pini, fichi, gigli. Pagine e pagine di alberi, fiori, frutti ed erbaggi vari. Cornacchie, pappagalli, merli, pernici, rondini, folaghe, pesci, tortore, api, lepri, camaleonti, cavallette, pipistrelli, cavalli, asini, volpi, cervi, galli, leoni, leopardi, formiche, serpenti, mucche, pecore, ricci, lupi, scimmie, cani, vermi, elefanti… Una lunga litania di animali, descritti con cura.
Un libro di scienze naturali? Un trattato di etica ambientale? Una favola per bambini? Niente affatto. Si tratta di una raccolta di omelie di circa millesettecento anni fa, uscite dalla bocca austera di Ambrogio, vescovo di Milano. Commentano i sei giorni della Creazione e compongono il suo Exameron, spesso ingiustamente considerato la brutta copia di quello più titolato di Basilio il Grande. Effettivamente la dipendenza dal testo greco balza all’occhio. Ma è pure lampante la sua distanza. Basilio, reagendo al proprio ambiente culturale, è molto interessato a questioni teoriche, come quella inerente all’inizio del cosmo. Ad esse Ambrogio accenna soltanto, poiché più attratto dalla descrizione delle singole creature, avvalendosi dei testi scientifici latini e grazie al suo pulito impeto poetico, di scuola romana. In ogni caso, chi si aspetterebbe dal portamento fiero di Ambrogio tali omelie? La cosa si complica al pensiero che furono tenute durante la Settimana Santa, probabilmente nel 387, in preparazione alla celebrazione della Pasqua. L’apertura mentale di Ambrogio gli consentiva di annunciare la morte e la risurrezione di Cristo osservando rondini e cani, fossi e laghi, pigne e ciliegi.
Perché? Probabilmente, appropriandosi della visuale dei libri sapienziali della Bibbia, egli riteneva che l’osservazione attenta della Creazione fosse già osservanza del patto tra Dio e il mondo. Cristo stesso, parlando del Padre, indicò uccelli del cielo e fiori del campo. Tuttavia, la competenza e la simpatia con cui Ambrogio parla di cose, vegetali e animali serbano forse un’ulteriore, impensata tonalità. La commozione poetica trasforma l’alto funzionario romano, divenuto vescovo, nell’Adamo alle prese coi nomi delle creature. Milano diventa Eden.
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