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La spiritualità di Caravaggio

​Alessandro Zuccari

Michelangelo Merisi era agnostico o credente, eterodosso o fedele a suo modo alla Chiesa di Roma? Gli studiosi si sono chiesti quale fosse il suo pensiero e quale rapporto avesse con la spiritualità del suo tempo, suscitando un dibattito protrattosi per decenni. Anche fuori dall’ambito scientifico se ne continua a discutere perché la pittura di Caravaggio è talmente coinvolgente che ognuno vuole interpretarla a modo proprio. Indubbiamente egli fu un pittore fuori dagli schemi, dissonante dai canoni stilistici e dalle iconografie tradizionali, un personaggio inquieto, geniale, ipersensibile. Diversi biografi ne hanno trasmesso un’immagine negativa – per astio personale (Baglione) o per militanza artistica contraria al suo “naturalismo” antiaccademico (Celio, Carducho, Bellori, Susinno) – radicatasi per lungo tempo. Le ricerche degli ultimi decenni hanno meglio ricostruito fatti e contesti storici che segnarono la sua esistenza, smontando quel mito di “pittore maledetto” che faceva di Merisi un soggetto incolto, asociale e oltremodo trasgressivo. Il quadro che ne è emerso non ci presenta solo un pittore prodigioso e irruento, sempre pronto a sfoderare la spada (abitudine diffusa anche tra gli artisti), ma una personalità ben più complessa sia per sensibilità e background culturale, sia per la rilevanza di relazioni sociali che si era guadagnato. Basti ricordare il gran numero di prelati e aristocratici che gli procuravano commissioni e facevano a gara per avere i suoi quadri, o i rapporti che egli intratteneva col mondo della cultura e la rete di protettori che lo sostennero, lo ospitarono e, dopo il bando da Roma, cercarono di fargli ottenere la grazia e l’agognato ritorno nella capitale pontificia. Più si approfondiscono gli studi e più si comprende che Caravaggio fu pienamente un uomo del suo tempo. Con queste premesse si può cercare di ricostruire quale fosse il suo atteggiamento nei confronti della spiritualità e delle istituzioni religiose a lui contemporanee.
“Humilitas” è il motto amato da san Carlo Borromeo, austero e intransigente arcivescovo di Milano che ha lasciato una decisiva impronta nella Chiesa e nella spiritualità post-tridentine anche per il suo rigore ascetico e la sua sensibilità verso i poveri, gli orfani, le vedove, gli appestati. Nella sua figura e nella sua azione di riforma sono stati individuati l’imprinting ricevuto in Lombardia da Caravaggio e le radici della sua pittura sacra.
La raffigurazione di popolani, mendicanti, storpi o pellegrini scalzi non è certo invenzione del maestro lombardo e vanta illustri precedenti; sono invece innovativi (e scatenarono polemiche) il principio di verità e la crudezza con cui egli li presenta nelle pale d’altare o nei quadri da collezione. La lettura di una Controriforma quale insieme monolitico, solo reazionario e oscurantista, è ormai superata. Gli studi hanno messo in luce la complessità di un mondo culturalmente e religiosamente sfaccettato, di cui lo stesso Caravaggio è espressione.
Riguardo all’atteggiamento verso poveri e diseredati, nel Cinquecento la sensibilità e l’impegno sociale erano particolarmente sviluppati grazie a figure spirituali, ordini religiosi e numerose realtà associative. Una prova è data dai dipinti che egli realizzò per alcune chiese francescane e in particolare dall’Adorazione dei pastori eseguita nel 1609 per i cappuccini di Messina (ora al Museo Regionale). La poetica umiltà dei personaggi, l’estrema povertà dell’ambiente, il clima affettivo corrispondono allo stile di vita di quel ramo francescano, che aveva scelto di vivere in celle spoglie, con tetti di canne e fango. Merisi dipinge il Poverello di Assisi con il tipico saio dal lungo cappuccio. Il San Francesco in preghiera (Cremona, Museo Civico) e il San Francesco in meditazione (ora a Palazzo Barberini) sono tra le più intense immagini dell’alter Christus, stimmatizzato e orante con un teschio e un crocifisso, in ascetica meditazione sulla morte, tema tipicamente cappuccino. Formulazioni così empatiche e struggenti dimostrano una personale partecipazione al soggetto rappresentato e una profonda comprensione della spiritualità di quei frati.
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