La ruggine del dolore una Via Crucis contemporanea
Quattordici poesie di Guido Oldani e i disegni di Omar Galliani per un viaggio attorno alla radice dell’uomo
Guido Oldani
Chissà perché, la gioia sembra transitoria e il dolore permanente; la prima si tende a ricordarla come il flash di una macchina fotografica, il secondo come un marchio a fuoco, testimoniante sulle nostre carni. Credo di aver visto il monumento all’anti-pietà per la sofferenza umana, una trentina di anni addietro, in una fotografia di un settimanale. Il servizio giornalistico sottolineava qualche ricorrenza, perché ormai la cultura si è ridotta a questi modesti riti celebrativi. L’immagine ritraeva un giovane capitano dell’esercito dello zar, semispogliato e impalato dalla folla. La scena non si consumava all’interno dei confini russi e mi duole persino citare la nazione dove questo orrore si è manifestato. Il cadavere era tenuto dritto da un mostruoso spiedo, che si affacciava, sollevando la pelle, appena dietro la clavicola destra, alla base del collo. Braccia e gambe nude erano penzoloni, come se si trattasse di un sacrilego pupo siciliano. Pensando a quella efferatezza, persino la pietà di Michelangelo, a momenti, riesce a sembrarmi retorica.
Ma c’è l’altro tipo di dolore, quello drammatico che l’uomo produce credendo di fare bene. Rifletto su Sofocle e il suo Creonte con Antigone. Il primo applica la legge, che, come sappiamo, è come una ragnatela, capace di finire un insetto, ma basta la pallonata di un ragazzo per ridurla ad un carnevale. Antigone viene uccisa perché ha dato sepoltura al fratello Polinice. Lei non resiste a vederlo decomporsi al suolo, divorato a brandelli dai cani e dai corvi. Qui, se non sbaglio, Sofocle dimentica i topi. Loro non si fanno vedere, si nascondono pure all’interno del cadavere. Mi viene da paragonare a questi, che fuggono terrorizzati per un solo battito di mano, l’attuale finanza mondiale, che corrode interi continenti, cibandosi di psicofarmaci. Anche Creonte ci lascia la pelle; la legge sembra distruggere tutti. Oggi, il virus pare alleato dei divoratori. Si scatena con lo stesso cinismo dell’usura su chi ha quasi niente, generando dolore infinito. Chi ha quasi niente, infatti, non è neppure in grado di difendere il quasi nulla di cui dispone e, dunque, subisce di dover partecipare a una colletta criminosa per l’apoteosi adiposa di chi vuole assolutamente tutto per sé. Io intanto ricordo Michele, che viveva di elemosina nel sottopassaggio ventoso a cento metri da casa mia. Quando proposi a una certa associazione laica “benefica” e benestante di affittare per lui una stanza, magari anche solo per sei mesi, per dar modo a questo ventottenne di riprendersi, mi venne risposto che una casa data a una persona siffatta avrebbe visto ridursi il suo valore commerciale. Così Michele è morto, mentre l’associazione si domanda quale sia la vicenda su cui intervenire per aiutare il mondo.
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