La rivoluzione delle Confessioni
Autobiografia dell’anima, il più celebre dei testi agostiniani è un viaggio dentro l’uomo e nell’incontro che libera con la Grazia
Pasquale Cormio
Un anno prima della morte, nel 429, il vescovo Agostino scrive all’amico Dario, governatore dell’Africa, inviandogli i libri delle Confessioni, e spiega come si deve intendere il racconto autobiografico: «In essi considerami e osserva che cosa sono stato in me stesso, per me stesso e se vi troverai qualcosa che ti piacerà di me, lodane con me non me stesso, ma Colui che ho voluto venga lodato nei miei riguardi» (ep. 231,6).
Accingendosi a comporre le Confessiones, nel 397, Agostino, già da due anni vescovo coadiutore di Valerio a Ippona, non intende presentare un resoconto dettagliato delle vicende che lo riguardano, dall’infanzia sino alla tarda estate del 387, quando il racconto si interrompe con la morte della madre Monica a Ostia Tiberina. L’autore indulge poco sui dati storici, dal momento che la sua preoccupazione è quella di inserire il corso degli avvenimenti in una lettura teologica: al centro della narrazione non vi è propriamente Agostino, ma Dio, che merita di ricevere la lode dell’uomo liberato dal peccato e rinnovato dalla grazia.
La confessio, che dà il titolo all’opera, è innanzitutto confessio laudis, indirizzata a Dio e ispirata ai salmi, e si combina strettamente alla confessio peccati, attinente all’uomo che riconosce le proprie colpe. Essa è la chiave ermeneutica del rapporto che lega l’uomo, in quanto creatura, a Dio Creatore, come già si evidenzia nella pagina introduttiva delle Confessioni: «Tu sei grande, Signore, e ben degno di lode; grande è la tua virtù, e la tua sapienza incalcolabile. E l’uomo vuole lodarti, una particella del tuo creato, che si porta attorno il suo destino mortale, che si porta attorno la prova del suo peccato e la prova che tu resisti ai superbi. Eppure l’uomo, una particella del tuo creato, vuole lodarti» (conf. I, 1.1). Dinanzi alla grandezza incommensurabile di Dio, l’uomo comprende la propria piccolezza, segnata dai limiti della mortalità e del peccato; ma una volta che è stato raggiunto dalla misericordia divina, predispone cuore e lingua alla lode di un Dio che, con continui interventi della sua grazia, lo riscatta dalla superbia e dalla colpa.
Agostino è sempre attento a sottolineare come ogni singolo evento sia da ricondurre all’azione della grazia divina, che pre-para e pre-viene l’opera umana. Anche la stessa lode scaturisce dal cuore dell’uomo come una risposta ad un appello che parte da Dio: «Sei Tu che lo stimoli a dilettarsi delle tue lodi, perché ci hai fatti per te, e il nostro cuore non ha pace finché non riposa in te» (conf. I, 1.1). Dio è il promotore dell’iniziativa umana, dal momento che incentiva l’uomo a dilettarsi delle sue lodi e presenta, nella Scrittura, la parola giusta per svolgere un simile compito.
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