La piazza nella prospettiva dell’arte
Passate da articolato sfondo degli eventi a protagoniste della tela le piazze hanno un piccolo grande ruolo nella storia della pittura
Elena Pontiggia
La prima piazza che viene in mente, quando si pensa alle piazze raffigurate dai pittori, è quella della Città ideale (1480-1490), di cui si conoscono tre versioni: una conservata a Urbino, l’altra a Baltimora, la terza a Berlino. Si chiamano città, ma sono appunto piazze e sono così perfette, così meravigliosamente illuminate da una luce d’avorio, da suggerire un pensiero maligno. Cioè che siano così belle perché l’uomo non c’è. E infatti, secondo molti studiosi le figurette che si vedono in primo piano nell’unica versione “abitata”, quella di Baltimora, sono state aggiunte dopo. Non dall’artista, chiunque esso sia.
Quella piazza, in realtà, è una metafora del Buon Governo. Sullo sfondo si vedono tre architetture emblematiche: una sorta di Colosseo, un arco di trionfo che ricorda quello di Costantino e un edificio simile al Battistero di Firenze, allora considerato un tempio di età romana dedicato a Marte. L’opera dunque rende omaggio a una classicità insieme immaginaria e concreta, a un vertice di bellezza considerato inimitabile, ma vuole anche rispecchiare l’ordine cosmico, perché è dipinta con le stesse proporzioni matematiche da cui sembra governato l’universo. In primo piano, poi, ha quattro colonne che culminano con altrettante statue allegoriche. Sono le virtù del Buon Governo: si riconoscono facilmente la Giustizia, con la spada, e la Liberalità, con la cornucopia, mentre le altre dovrebbero essere la Concordia e l’Abbondanza. La piazza, insomma, rimanda a una comunità pacifica, prospera, ben governata. Che non è mai esistita.
Pressappoco negli stessi anni, a Venezia, Gentile Bellini (fratello del più famoso Giovanni) non pensa a una piazza ideale, ma reale. Nella sua Processione in piazza San Marco (1496), un telero di oltre sette metri ora alle Gallerie dell’Accademia, dipinge un episodio realmente avvenuto. Quindici anni prima, durante la festa della Santa Croce, un mercante bresciano mentre assisteva alla processione che avanzava con un frammento della reliquia aveva ottenuto la grazia della guarigione del figlio, ferito a morte. A Gentile però non interessa il miracolo. Gli interessa di più la piazza, e non a caso il suo telero è considerato il capostipite del vedutismo veneto. Il suo sguardo è attratto soprattutto dalla basilica di San Marco, con l’oro dei mosaici bizantini oggi sopravvissuti solo in parte; dai palazzetti gotici, che nei secoli sono stati rimpiazzati da altre architetture; dal colore caldo e roseo del pavimento in cotto, sostituito nel Settecento dal marmo. La piazza, pur disegnata con una prospettiva non a regola d’arte e affollata da tante figure, è un esempio di armonia: un’armonia che cercheremmo invano oggi in quella stessa piazza, invasa da troppi turisti, caffè, venditori di mangimi per piccioni e di asticelle per selfie. [...]