La mensa di Abramo
Secondo una tradizione ebraica, dopo la distruzione del Tempio la tavola di ogni casa è diventata un altare
Un antico e celebre midràsh afferma che, successivamente alla distruzione del Santuario di Gerusalemme e alla profanazione dei suoi altari, la tavola di ciascuna casa ebraica assume un ruolo centrale: corrisponde oggi in qualche modo agli altari del Santuario.
Il midràsh evidentemente propone una più ampia e generale corrispondenza tra la famiglia ebraica, intesa come casa e considerata una sorta di “piccolo Santuario”, e il Santuario di Gerusalemme. La famiglia, nella sua intimità e nei suoi legami di affetto, realizza, almeno in una certa prospettiva, il vincolo di amore che il Santuario rappresentava emblematicamente e fattivamente legando Cielo e terra. La famiglia, inoltre, è anche il luogo dei sacrifici, ossia della volontaria cessione e limitazione di parte di sé, che viene offerta e consumata. Anche in questo vi è un parallelismo forte con il significato autenticamente religioso dei sacrifici offerti nel Santuario.
Se il Santuario poi, con le mense dei propri altari, rinviava a una dimensione anche “pubblica”, la mensa familiare rinvia a una dimensione “privata”, tuttavia fondamentale e fondativa del più ampio tessuto sociale generale. In questo senso l’ebraismo rigetta un’esistenza religiosa intimista e facilmente emotiva: si tratta di un’avventura familiare e di Popolo.
La mensa ebraica, al pari delle liturgie officiate nel Santuario, è, infine e soprattutto, normata da regole ben precise e dettagliate. Altrimenti, semplicemente, non sarebbe “ebraica”. La normativa afferente all’alimentazione kashèr (ossia “idonea” per gli ebrei) è molta e articolata, con un suo specifico carattere rituale e con una comprensione, ove possibile, della medesima rinviante unicamente a una prospettiva religiosa-rituale. Ci si può comunque interrogare sul significato (ta‘àm in ebraico, letteralmente “sapore”) di tale normativa. Le risposte sono molte. Una di queste è che, ovviamente, un corpus così stringente di norme in relazione all’alimentazione, che non può prescindere anche dall’aspetto della convivialità, crea ipso facto una “società” con dei caratteri propri. Al contempo, proprio per questo, crea una separazione.
L’intero esercizio della prassi religiosa dell’ebraismo, in moltissimi suoi ambiti, alterna “unione” di realtà diverse e “separazione”, universale e particolare, afflati universalistici e indispensabile costitutivo particolarismo. Perdere uno dei due momenti a discapito dell’altro – in quanto sopravvalutato o sottostimato – vuole dire non comprendere l’ebraismo per quello che è.
di Giuseppe Laras