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La Via Traiana tra ulivi e versi di Orazio

Il lungo tratto pugliese della principale variante dell’Appia, dove l’archeologia si mescola al romanico e il paesaggio alla grande poesia latina

​Francesco Marzella

Una strada antica, una lunga diagonale che volge le spalle al tramonto e fissa lo sguardo sul mare. La seguiamo attraverso una terra d’ulivi ostinati e vino scuro, contesa e sospesa tra Oriente e Occidente, tra un presente ora più vivace e un ricco passato di cui dispensa generosamente i segreti. Costruita tra 108 e 110, la Via Traiana, voluta dall’imperatore che di lì a poco avrebbe portato i domini di Roma alla massima estensione, collegava Benevento a Brindisi. Quasi un ramo secondario e alternativo dell’ultimo tratto dell’Appia, a cui col tempo finì per essere preferita, tanto da essere conosciuta anche come Appia Traiana. Le tracce di quell’antico percorso, la sua pavimentazione calcarea e i cippi miliari che ne scandivano regolarmente le distanze, si osservano di tanto in tanto fra i borghi e le campagne. Ripercorriamo le principali tappe del suo tratto pugliese, lasciando che a guidarci siano anche i versi di una nota satira del poeta latino Orazio, che nel 37 a.C. accompagnò Mecenate in missione diplomatica a Brindisi, compiendo il suo Iter Brundisinum lungo quella più antica Via Minucia di cui la Traiana ricalca per buona parte il percorso.
Al confine fra Campania e Apulia, il primo luogo di sosta (statio) era Mutatio Aquilonis, alle sorgenti del fiume che ora chiamiamo Celone. Era il punto in cui la strada raggiungeva l’altitudine maggiore e si trovava nel territorio oggi compreso fra Faeto e Celle di San Vito, due piccoli centri accomunati da una parlata decisamente singolare: ospitano infatti una minoranza linguistica francoprovenzale, le cui origini risalgono forse ai tempi dell’arrivo in Italia di Carlo I d’Angiò. La discesa dai Monti Dauni – cime riarse dallo scirocco, canta Orazio – procede attraverso i luoghi della transumanza, in cui la Via Traiana ormai coincide col tratturello Camporeale-Foggia e conduce alla cittadina di Troia, l’antica Aecae, che nonostante l’omonimia non ha nessun legame con la più nota rocca di Priamo. La fondazione della città medievale, in un’area devastata tempo addietro dai Goti, fu favorita nei primi decenni dell’XI secolo dal catapano d’Italia e generale bizantino Basilio Boioannes, che volle un centro fortificato a difesa dei confini del territorio sotto il controllo di Bisanzio. Alla fine dello stesso secolo, con i Normanni, già iniziavano i lavori che avrebbero portato nel giro di tre decenni all’erezione della cattedrale di Santa Maria Assunta, ora il simbolo per eccellenza della città, con il suo rosone merlettato, fra le più originali espressioni di un romanico pugliese di cui si colgono distintamente le raffinate influenze orientali. La pavimentazione romana della Via Traiana riaffiora nelle campagne attorno al paese, mentre nel Museo Civico, ospitato all’interno del cinquecentesco Palazzo D’Avalos, è conservato il tratto rinvenuto sotto il manto stradale di via Regina Margherita, che taglia tutto il centro storico.
Si giunge quindi in pieno Tavoliere, dopo aver scorto anche quel poco che resta di due ponti romani. Il primo, più imponente, in prossimità di Masseria Ponte Rotto, permetteva di passare il fiume Cervaro, mentre il secondo, più a sud, il torrente Carapelle. Ecco allora le rovine di Herdonia (oggi Ordona), che includono, oltre al foro, ai templi e alle terme, anche un anfiteatro. È un territorio che serba memoria di battaglie infauste per l’esercito romano, che lì fu sconfitto da Annibale nel 212 a.C., a solo quattro anni dalla carneficina perpetrata a Canne, con decine di migliaia di soldati romani trucidati dai Cartaginesi. Non è poi lontana Ascoli Satriano, l’Ausculum teatro di una celebre vittoria di Pirro che fu però preludio alla conquista romana della Magna Grecia. [...]