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La Natività nell'arte

Un itinerario nella ricca simbologia della Natività dal romanico alle miniere di sale di Cracovia

​Maria  Gloria Riva

Dietro alla narrazione vibrante e spesso commovente del presepe, l’arte vela e, insieme, rivela la storia della fede del popolo di Dio che varia di età in età e di secolo in secolo.
Si concentra su Cristo lo sguardo acuto dell’anonimo seguace di Wiligelmo, nella formella del presepe inserita nel portale dell’abbazia di Nonantola. Siamo al­l’inizio del XII secolo e l’arte romanica, in piena fioritura, ha un gusto particolare per gli equilibri geometrici e i simboli: ciò che importa è il dato teologico e l’educazione alla vera fede. Nella parte alta della formella si scorgono due archi che incorniciano elementi floreali e l’asino e il bue, immancabili animali del presepe. I due animali, citati nel proto-Isaia («Il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende», Is 1,3), indicano Israele e i pagani. Nella parte bassa c’è il Cristo Bambino che con la sua nascita ha fatto di due un popolo solo; i due animali, infatti, si toccano guardando uniti il Neonato. Gesù giace in un sepolcro ornato di foglie di uva a forma di croce, è adorno del nimbo crociato e di fasce che anticipano quelle della sepoltura; tutto rimanda al kerigma: Passione, Morte e Risurrezione. Ai motivi floreali è affidato il compito di rassicurare il credente circa la vittoria del Cristo sul male e sulla morte. Le foglie d’uva simboleggiano, oltre al sacrificio eucaristico, la vita e la fecondità; mentre in alto a sinistra il motivo floreale cruciforme, inserito nel­l’ideale cerchio dell’arco, viene a significare l’eternità. Nell’altro lato, invece, una rosa a otto petali rimanda a quel­l’ottavo giorno che Cristo ci ha meritato con il suo sacrificio.
Il 25 dicembre del 1223 san Francesco, a Greccio (Rieti), rievocava la notte di Natale. Da quel giorno le rappresentazioni della Natività si arricchiscono di dettagli. Nella pieve di Santa Maria Assunta di Arezzo, ad esempio, una formella in marmo della prima metà del XIII secolo (immagine a pagina 19) ci regala un’altra bella e originale raffigurazione del presepe. Nella parte alta la Vergine Maria testimonia la sua elezione. Come vuole l’iconografia antica, soprattutto orientale, Maria è sdraiata sul suo giaciglio e regge il divino Infante. L’asino e il bue ci guardano, sostando davanti alla culla, proprio sotto la stella che segnala il giaciglio del Re dei re. Poderosa e sorprendente è la figura di Giuseppe, il Redemptoris custos, vigile e solerte con in mano il bastone fiorito, segno di elezione divina. Contro la staticità ieratica del suo corpo, la torsione del volto comunica la drammaticità dell’evento: il Cristo è nato per morire. Sotto, le levatrici lo ostendono, immergendolo in una vasca quasi battesimale. Il Cristo Bambino appare già come ostia sopra un calice, raccontando così ai fedeli i “luoghi” principali della loro salvezza: il lavacro battesimale e il sacrificio eucaristico.
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