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La Chiesa grande committente

Fin dal IV secolo il papato è protagonista di una sempre rilevante politica artistica, che vede il suo vertice tra il XV e il XVII secolo

​Timothy Verdon

Se più di ogni altra istituzione storica la Chiesa è stata prodiga come mecenate d’architettura e d’arte, questo primato si deve soprattutto ai papi, che sin dai primi secoli hanno investito risorse ed energie nella creazione del Bello. Le prime grandi “opere papali” non furono tuttavia commissionate dai pontefici, ma da un imperatore, Costantino il Grande, che nel 313, l’anno stesso del­l’editto che dava libertà ai cristiani, donò ai vescovi di Roma gli Horti Lateranensi, finanziando la basilica ivi costruita e provvedendo al sontuoso abbellimento del suo spazio liturgico. A partire dal 319 poi Costantino avviò la costruzione di un tempio ancora più grande, San Pietro, sul sito dove sin dal II secolo i fedeli ne veneravano il “Trofeo”, come lo chiama una fonte dell’epoca, ossia la tomba terragna in cui erano stati deposti i resti del Pescatore. Le fonti parlano di un’iscrizione sull’arco tra la navata e il transetto che diceva: «Poiché sotto la tua guida [o Cristo] il mondo è risorto trionfante fino alle stelle, il vittorioso Costantino ti ha allestito questa aula». Allusive alla vittoria al Ponte Milvio che aveva assicurato all’imperatore il potere su Roma, queste parole suggeriscono il carattere del successivo mecenatismo papale, che in specifiche circostanze storiche celebra il trionfo eterno del Salvatore.
Il primo importante programma che possiamo attribuire direttamente a un pontefice è il ciclo di mosaici della “basilica liberiana” ricostruita da Sisto III (432-440) come Santa Maria Maggiore dopo che il Concilio di Efeso aveva definito la Vergine Theotokos, Madre di Dio. Le storie della sua vita, sull’arco di trionfo, completano una serie di scene bibliche nella navata, offrendo ai fedeli una ideale “concordanza” tra l’Antico e il Nuovo Testamento. Sull’esempio di Costantino, all’apice dell’arco Sisto III fece porre un’iscrizione col proprio nome. Ma l’iscrizione nomina anche il destinatario dell’opera, e questo fatto distingue l’intento del pontefice rispetto all’autocelebrazione costantiniana. Recita: Xystus episcopus plebi Dei, “Sisto, vescovo, al popolo di Dio”. L’iscrizione è posta sotto l’Etimasia, il trono preparato per Cristo che deve tornare e che ha, sullo sgabello, il rotolo dai sette sigilli che solo lui potrà aprire.
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