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L'epopea di casa Medici

Da Cosimo passando per Lorenzo fino alla fine della dinastia nel XVIII secolo, i banchieri e poi duchi hanno impresso il loro marchio su Firenze e l’Italia

​Franco Cardini

Fino dai tempi più antichi, qualunque forma di mecenatismo ha fra le sue caratteristiche un carattere demagogico. Ma la casata imprenditoriale fiorentina (e dal XV secolo dinastia principesca) dei Medici elevò questa caratteristica a un ineguagliabile livello: se non un “governo opera d’arte”, quanto meno un “governo attraverso l’arte”.
Cosimo di Giovanni, detto “il Vecchio” (1389-1464), nel suo ruolo di mecenate poté trarre vantaggio dal nuovo volto che Firenze era andata assumendo fin dal secolo precedente e che egli contribuì a perfezionare, dandole dignità di grande capitale sia di fronte ai toscani sia presso gli stranieri. L’epoca di Cosimo, anche per merito suo, conobbe un ulteriore sviluppo in campo culturale e artistico: egli riservò in primo luogo le sue cure al palazzo divenuto ufficialmente la dimora della famiglia nel 1440, nel cui cortile pose il David bronzeo e la Giuditta scolpiti da Donatello, e al convento di San Marco, affidato da papa Eugenio IV ai domenicani riformati di Fiesole, dove Michelozzo progettò la splendida biblioteca che doveva ospitare i preziosi codici raccolti da Poggio Bracciolini e da Niccolò Niccoli, insieme ai volumi acquistati personalmente da Cosimo e dal libraio Vespasiano da Bisticci su sua commissione, con l’aiuto del dotto Tommaso Parentucelli da Sarzana, futuro papa Niccolò V. La Biblioteca Medicea Laurenziana fu fatta invece costruire da Clemente VII un secolo dopo, nel 1524, su disegno di Michelangelo.
 Dall’incontro con il famoso Gemisto Pletone e gli altri dotti greci durante il Concilio fiorentino del 1439, Cosimo ebbe anche l’idea di fondare nella villa di Careggi l’Accademia Platonica, affidandola a Marsilio Ficino, da lui convinto a intraprendere la traduzione delle principali opere del grande filosofo dell’antichità (1462); fra gli anni ’30 e ’60 del secolo si sviluppò così a Firenze una “retorica platonica ed ermetica” (Eugenio Garin), a cui doveva concorrere l’insegnamento di Giovanni Argiropulo.
Brunelleschi, intanto, nel 1436 terminava la cupola della cattedrale - che il 25 marzo di quell’anno, giorno del­l’Annunciazione, veniva consacrata, con il nome di Santa Maria del Fiore, da Eugenio IV - e iniziava a progettare la lanterna, che però sarebbe stata messa in opera solo nel 1461, dopo la sua morte (1446). Nel 1438 Luca della Robbia, il celebre inventore della terracotta invetriata secondo una tecnica particolare di cui solo la sua famiglia conosceva il segreto, eseguiva i bellissimi rilievi della cantoria: smembrata nel 1688, ora le sue parti si trovano nel Museo dell’Opera del Duomo, di fronte alla cantoria scolpita da Donatello tra il 1433 e il 1438. Della Robbia poco dopo cominciava a lavorare alla porta di bronzo della sacrestia delle Messe, finita solo nel 1469; mentre il Ghiberti, nel 1452, terminava la sua celebre Porta del Paradiso.
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