L’infanzia eroica di Bernanos
Secondo il grande scrittore francese i bambini sono il modello di una vita autentica nel segno dello stupore e del coraggio
Maria Antonietta La Barbera
Mondo disincantato il nostro, incapace di stupore, imbrigliato in protocolli e progetti volti a soffocare ogni creatività che non sia precedentemente vivisezionata per verificarne le risultanze utilitaristiche. Davvero rara l’attenzione gratuita alla persona, alle relazioni umane, all’ambiente in cui si vive. La drammatica esperienza pandemica, che stiamo ancora vivendo, dopo un apparente ed effimero risveglio di pseudo fratellanza, ha tristemente evidenziato una disumanità generalizzata: egoismo, presunzione e prepotenza si sono manifestate vistosamente, senza pudore, senza “mascherina”…
«Questo mondo despiritualizzato, meccanicizzato, divorato dai suoi stessi meccanicismi come una bestia ammalata a causa dei suoi pidocchi, è vecchio, logorato».
(Ultimi scritti politici - Français, si vous saviez)
La voce profetica di Georges Bernanos risuona ancora oggi, dopo circa ottant’anni, contro un mondo incapace di creatività, di rispetto e di meraviglia. Un mondo avvoltolato «come un topo in una ciotola di colla» sulle sue conquiste di pseudo benessere, che «imburrano i cervelli» e desertificano l’anima.
«Noi non assistiamo alla fine naturale di una grande civiltà umana, ma alla nascita di una civiltà disumana che potrebbe stabilizzarsi solo grazie a una vasta, a un’immensa, a un’universale sterilizzazione di tutti gli alti valori della vita. Più ancora che di corruzione, si tratta di pietrificazione».
(La Francia contro la civiltà degli automi)
L’opera di Bernanos non è la trasmissione di un messaggio, di una verità preconfezionata, ma la «testimonianza di un uomo libero», impegnato a sollecitare il lettore a mettersi in ascolto, per penetrare in profondità nel cuore delle cose, delle situazioni, delle persone, per recuperare il proprio vero volto e per ritrovare uno sguardo nuovo sul reale. Dopo essere diventato un romanziere apprezzato, la scelta di abbandonare la scrittura narrativa si radica proprio nell’urgenza di «combattere», in modo ancora più intenso, contro «l’impostura» generalizzata (oggi diremmo “globalizzata”) nell’unico intento di «rifare uomini liberi».
«Gli uomini, nella loro tragica solitudine, hanno fatto silenziosamente, nei confronti del soprannaturale, il patto dei tempi di peste: pensarvi il meno possibile e non parlarne mai».
(Il crepuscolo dei Vecchi)
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