Il viaggio verso l’uomo
Gli eroi umili e la Provvidenza: una lettura organica dell’opera manzoniana e della sua evoluzione nel tempo
Carlo Ossola
«Il suo romanzo storico non è solo un bel lavoro artistico, ma è un vero monumento, che occupa nella storia dell’arte quel medesimo luogo che la Divina Commedia e l’Orlando Furioso»: così Francesco De Sanctis nella sua introduzione ai Promessi sposi. Tale impegnata e così netta elezione è motivata con l’ingresso, per la prima volta nella nostra letteratura, della storia e del quotidiano, del vissuto; storia e realtà vengono infine a coincidere con la scrittura: «E chi guarda alla storia dell’ideale nel mondo moderno, vedrà che dalle cime del più astratto ascetismo essa è uno scendere lento, ma assiduo, verso la terra, incorporandosi sempre più ed entrando in tutte le differenze e le sinuosità della vita. In questo cammino noi ci siamo lasciati oltrepassare, rimasti stazionari e vuoti e oziosi arcadi, più sognando che vivendo; ora ci siamo risvegliati, e cominciamo una nuova storia, e la pietra miliare della nostra nuova storia è questo romanzo, dove risuscita con tanta potenza il senso del reale e della vita».
Lucia, la «bella baggiana» (I Promessi sposi, XXXVIII), non Beatrice la divina, non Angelica, non Armida, le seduttrici, diveniva emblema del cammino umano, essa che - alla fine del romanzo - tornava «contadina come tant’altre»: «Quando comparve questa Lucia, molti i quali credevan forse che dovesse avere i capelli proprio d’oro, e le gote proprio di rosa, e due occhi l’uno più bello dell’altro, e che so io? cominciarono a alzar le spalle, ad arricciar il naso, e a dire: “eh! l’è questa? Dopo tanto tempo, dopo tanti discorsi, s’aspettava qualcosa di meglio. Cos’è poi? Una contadina come tant’altre. Eh! di queste e delle meglio, ce n’è per tutto”. Venendo poi a esaminarla in particolare, notavan chi un difetto, chi un altro: e ci furon fin di quelli che la trovavan brutta affatto».
Dalla lirica alla tragedia di condottieri e principi, ai cori «della causa dell’umanità» (August Wilhelm von Schlegel), al romanzo, fu la conquista di un dire comune: e nel romanzo ancora successe la progressiva limatura, dal Fermo e Lucia ai Promessi sposi del 1827, a quelli “italiani” del 1840, controllata sul fiorentino la lingua e arricchito il romanzo di una seconda trama illustrativa, quella delle incisioni eloquenti di Francesco Gonin. Fu davvero la Biblia pauperum per l’Italia unita, una storia e una lingua comune da offrire all’«esistenza positiva» di cittadini ordinari.
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