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Il viaggio dei figli di Adamo

Dall’esodo alla missione dei primi discepoli, la Bibbia offre chiavi di lettura essenziali per comprendere il pellegrinare dell’uomo nel mondo

​Gianfranco Ravasi

Suggestiva è la definizione dell’uomo coniata dal Salmo 39, che è una stupenda elegia sulla fragilità dell’esistenza umana: «Come ombra è l’uomo che passa […] Io sono un forestiero davanti a te, un viandante come tutti i miei padri» (7.13). E l’orante del Salmo 119 ripete di essere «un forestiero sulla terra» (19). È il vagare da un paradiso perduto, come ci ricorda la Genesi: «Il Signore Dio scacciò l’uomo dal giardino di Eden perché lavorasse il suolo da cui era stato tratto» (3,23). È un camminare segnato dal rimorso per la colpa, come accade a Caino: «Sarò ramingo e fuggiasco sulla terra» (4,14). Lo stesso lessico del peccato nell’Antico Testamento suppone un “deviare”, un andare fuori pista (het, ‘awon), mentre la conversione sarà un “ritornare” (shub) sulla retta via.
Eppure, anche in questa specie di tragitto deforme e deviato vigila la presenza amorosa di Dio. «Il Signore impose a Caino un segno, perché non lo colpisse chiunque l’avesse incontrato» (4,15). «I passi del mio vagabondare – canta il Salmo 56,9 – tu li hai contati; le mie lacrime nell’otre tuo raccogli; non sono forse registrate nel tuo libro?». A spiare la strada dell’abbandono percorsa dal figlio prodigo nella ribellione e nel peccato c’è il padre prodigo di amore e di misericordia. Ed è per questa segreta attrazione che quella via si trasforma nell’itinerario del ritorno e dell’abbraccio (Lu 15,11-32). C’è, dunque, secondo la Bibbia una storia universale di movimento che disegna il percorso dell’esistenza col suo splendore e la sua miseria, col riso e con le lacrime, in una tensione costante verso l’Oltre e l’Altro per cui la vita si rivela come un ponte gettato anche sull’altra riva, quella dell’infinito e dell’eterno: «Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena alla tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra» (Sal 16,11).
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