Vescovo e umanista, Agostino visto dai pittori
Il santo, in virtù della sua importanza, è soggetto frequente nell’arte. Uno sguardo ai capolavori tra Quattro e Cinquecento
Elena Pontiggia
Agostino è un santo ben rappresentato in pittura. Nel Quattrocento, in particolare, ha in campo artistico un primato quasi assoluto. Un’epoca razionalista (anche se non sempre razionale) come il Rinascimento, che in genere non amava il misticismo, trovava in Agostino l’esempio di un santo umanista, studioso, filosofo, che poteva conoscere attraverso i suoi libri, non seguendo incerte leggende e dubbie tradizioni popolari. La sua fortuna presso artisti e intellettuali, insomma, era grande.
Nella seconda metà del secolo Piero della Francesca, in una pala conservata al Museo d’arte Antica di Lisbona, dipinge un suo “ritratto”, che gli era stato richiesto dalla chiesa del proprio paese, Borgo San Sepolcro, dedicata appunto al santo. Nella tavola, che faceva parte di un polittico andato disperso, l’artista lo rappresenta con un mantello che è una sorta di enciclopedia evangelica. Come i cosiddetti uomini-sandwich portano sulle spalle i cartelloni pubblicitari, così – se il paragone è lecito – Agostino porta sulla propria veste liturgica gli episodi del Nuovo Testamento, quasi per invitare tutti a meditarli. Con precisione fiamminga Piero dipinge in vari riquadri il Vangelo dell’infanzia (l’Annunciazione, la Natività, la Presentazione al Tempio, la Fuga in Egitto) e la Passione (l’Orazione nell’Orto degli Ulivi, la Flagellazione, la Crocifissione, la Deposizione): una serie di “quadri nel quadro” di magistrale abilità disegnativa. Quei mantelli ricamati esistevano davvero – qualcuno se ne vede ancora, ogni tanto, in certi musei diocesani – ma Piero non aveva solo un’intenzione realistica. Voleva anche insegnarci che per Agostino il Vangelo non era una conoscenza esteriore, ma qualcosa che gli apparteneva intimamente, che si teneva stretto e faceva parte della sua vita come un vestito. Realistico è invece il volto del Santo, per cui Piero si deve essere servito di un modello, mentre il fondo del dipinto non è d’oro, simbolo della luce del paradiso, ma è un cielo terreno, che ricorda la concreta vicenda umana del vescovo di Ippona.
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