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Il silenzio è il destino della poesia

La poesia e i poeti di fronte al silenzio. Nella sua dimensione umana e divina è l’antidoto alla civiltà dell’intrattenimento

​Davide Rondoni

Il silenzio è l’Assente. È uno strano evento, qualcosa che si presenta come apparentemente negativo. Come se il silenzio fosse la mancanza di suono, di rumore. Il “non c’è” che si svela a volte come “essere” qualcosa. È una non-voce che può parlare.
Il silenzio non succede quasi mai nelle nostre giornate sempre “arrumorate” (nuovo termine inventato ad hoc per questo articolo). Ma quando la sua vela taglia il mare delle cose, delle parole e dei suoni confusi, quando la sua lama brilla, cambia tutto. Non importa nemmeno che sia silenzio assoluto, come quello che secondo certi esperimenti può portarci a stati alterati della mente. In quegli esperimenti i rumori del nostro corpo - battiti, fruscii, borbottii - diventano terremoti insostenibili per i nostri nervi.
No, basta anche un silenzio relativo. Un silenzio che, per così dire, conviva con piccoli suoni. Fossero pure lievi fruscii esterni, sospiri, aliti di vento o di onde. Lo chiamiamo “silenzio” perché “sta emergendo qualcosa”. Perché il silenzio è il non linguaggio, e quindi è il non umano. Ma noi umani facciamo appunto esperienza del silenzio. Non lo creiamo, semmai creiamo le condizioni, diminuendo la presenza del rumore, per cui esso emerga. Non lo creiamo: non c’è nulla di più stupido dell’espressione scolastica o tribunalizia o da arbitro di tennis “fate silenzio”. Eppure, lo possiamo sperimentare. È un linguaggio non creato da noi. Il non-umano che tocca l’umano? Ci sono “sovrumani silenzi” suggerisce Leopardi ne L’infinito. Si crea una dimensione nuova. Non accade solo dinanzi a certi panorami dove, prodigiosamente, nulla fa rumore, o in certe notti di sprofondamento, o in certe lontananze sottomarine. Accade anche nel momento impercettibile in cui la madre osserva il figlio addormentarsi, nel momento in cui in casa sembra non succedere niente. O in ufficio, quando una luce media investe le stanze, e i gesti, le voci, i passi sembrano diventare remoti, assenti. Oppure accade per strada, raramente ma accade, quando la città ha momenti di sospensione, di strano accordo tra silenzi, e si fa largo, inspiegabilmente, nel caos un momento di contemplazione.
Quale non-linguaggio dunque ci parla nel silenzio? Cosa è l’Assenza che muove mute labbra?
Il silenzio può essere sperimentato in tanti modi. Terrore, dolcezza, stupore, concentrazione...
È - pur nel suo essere un linguaggio non umano - un’esperienza solamente, completamente umana, dunque ambigua. Un silenzio può suggerire cose opposte a due persone. Nel silenzio di un funerale una prega, l’altra si angoscia. Nel silenzio frusciante di un bosco qualcuno ascolta voci spirituali, qualcun altro fiuta la selvaggina. O a volte entrambi fanno entrambe le azioni.
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