Il paesaggio moderno nato sulle piste del Grand Tour
Non solo vedutismo veneziano: pittori italiani e soprattutto stranieri hanno dato vita a molteplici forme di “paesaggismo”
Francesco Leone
I «primi sguardi» del «sole d’Italia» riuscirono a suscitare «un sentimento di amore e di riconoscenza» persino nel temperamento accidioso e melanconico di Osvaldo, come Madame de Staël immaginò in Corinne ou l’Italie, il romanzo del 1807 divenuto, anche per la sua incredibile popolarità, il paradigma letterario del Grand Tour. Molti anni dopo Mary Shelley, l’autrice di Frankenstein, scrisse in Rambles in Germany and Italy (1843) che il «nome dell’Italia contiene una magia in ogni sillaba». E secondo lei anche soffrire sotto il cielo della penisola era diverso.
Dunque per i viaggiatori, come per gli artisti, i cieli imperlati di luce, i paesaggi adorni di colori e le vedute del nostro suolo mitizzate dalle suggestioni classiche suscitavano emozioni nuove, sentimenti indicibili. Il viaggio nel «paese incantato» (così il paesaggista gallese Thomas Jones definiva l’Italia) era da un lato un’immancabile opportunità di formazione culturale ma anche, dall’altro, un itinerario dell’anima, un’esperienza totalizzante che segnava per sempre la vita di chi attraversava il “bel paese”.
La varietà del nostro territorio poteva regalare scorci indimenticabili e soddisfare tutte le esigenze estetiche che una nuova concezione del paesaggismo implicava.
I paesaggi prediletti erano naturalmente quelli carichi di memorie classiche intorno a Roma e a Napoli, ma anche, a partire dagli anni Settanta del Settecento, i siti lungo le rotte del Meridione, giù fino alla Sicilia, dove sembrava, nel culto della mediterraneità e sulla spinta dei ritrovamenti di Pompei ed Ercolano, di poter riscoprire le radici omeriche della civiltà europea. Le suggestioni della letteratura latina rendevano alcune mete imprescindibili. Tivoli, con i templi di Vesta e della Sibilla e con le sue famose cascate con la grotta di Nettuno, introduceva alla valle del Licenza, dove Orazio aveva costruito la sua villa. I luoghi dell’Eneide di Virgilio (la cui tomba a Piedigrotta era luogo di pellegrinaggio) e la Satira V di Orazio fornivano una mappa letteraria del sud della penisola, cui dagli anni Ottanta del Settecento si poté affiancare il Voyage pittoresque ou Description des Royaumes de Naples et de Sicilie di Richard de Saint-Non e Dominique Vivant Denon, pietra miliare della moderna odeporica. In questa prospettiva tra osservazione e memoria, tra viaggio fisico e viaggio tra le fonti antiche, l’attrazione di alcuni luoghi del sud era dunque fatale: i Campi Flegrei, la costiera amalfitana, Pozzuoli, Paestum con i suoi severi templi dorici da poco riscoperti, Palermo, Segesta, Taormina, Agrigento.
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