Il mio amore quel passato che non passa
Dall’ideologia dei secoli bui al fascino irresistibile per l’Età di mezzo. E non possiamo non dire con Pasolini: vengo dai ruderi, dalle chiese, dalle pale d’altare
Franco Cardini
Comincio col prendermi una libertà di quelle che si usano concedere agli anziani. Un ricordo personale: anzi tre, incastrati l’uno nell’altro.
Primo ricordo. Nell’ottobre del 1960 mi ero appena iscritto all’Università, a Firenze. Ero deciso a occuparmi di Medioevo. Ma non sapevo di che cosa con precisione: di storia, di filosofia, di letteratura, d’arte, di religione, di economia, di guerra, di musica. Non m’importava.
Mi trovai così - non ricordo più né chi me lo avesse consigliato né come ci fossi arrivato - nella grande sala gotica del Palazzo pubblico di Todi, un giorno di metà ottobre dal cielo incerto e imbronciato. S’inaugurava in quella sede il III Convegno storico internazionale dell’Accademia Tudertina, nell’ambito della quale era stato fondato un Centro di Studi sulla Spiritualità Medievale. Qualcuno mi disse che a Todi si sarebbe di lì a poco tenuta una “Settimana di Studi” di un appena fondato “Centro di Spiritualità Medievale” il cui dominus loci era il grande Raffaello Morghen.
La lectio magistralis inaugurale era tenuta da Eugenio Garin: storico della filosofia, allievo di Giovanni Gentile ma anche “star” indiscussa del pensiero razionalista e progressista di quegli anni. Mi ero iscritto al suo corso universitario: di lì a qualche giorno, sarei diventato suo allievo.
E lì il Maestro razionalista e progressista ci stupì tutti: e scandalizzò qualcuno. Eravamo, allora - ma purtroppo lo siamo anche adesso - abituati a sentir parlare sui giornali, alla radio, alla televisione da noi quasi neonata, purtroppo perfino a scuola, dell’“oscuro Medioevo”, dei “secoli bui”, delle tenebre medievali squarciate dal fuoco dei roghi accesi dall’Inquisizione. E ora Garin ci meravigliava e ci disorientava abbagliandoci con un’immagine antichissima, anzi archetipica, che però ci appariva nuova e rivoluzionaria: la «Luce del Medioevo».
Eppure, sì, certamente: la Luce. «Che solo Amore e Luce ha per confine»; «Luce intellettual piena d’Amore»¹. Ascoltando quel giorno Garin, mi sentii inondare dal ricordo di un’estate di tanti anni prima, quando - ero poco più di un bambino - mio padre mi aveva condotto per mano all’interno del Mausoleo di Galla Placidia, e lì ero rimasto incantato dal mosaico della volta: quel cielo color zaffiro tempestato di stelle d’oro, e l’immensa croce preziosa al centro di quel Paradiso².
Mi avrebbe fatto quasi paura, anni più tardi - questo è il mio secondo ricordo - l’imbattermi nella meravigliosa pagina da Carl Gustav Jung dedicata alla sua visita di Ravenna del 1914 e quasi alla trance medianica che in lui era stata provocata dalla “tenue luce azzurrina diffusa” che fasciava i mosaici dell’interno del Battistero degli Ortodossi. Da allora, per me, Ravenna è rimasta la misteriosa porta socchiusa fra Oriente e Occidente, fra Antichità e Medioevo, fra la Roma occidentale ch’è l’Urbe e la Nèa Ryme, la Nuova Roma orientale ch’è Costantinopoli. Una porta socchiusa sull’Altrove.
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