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Il legno divino tra storia e mito

È Ambrogio a citare per primo l’impresa di Elena. Iacopo da Varazze costruisce una leggenda che sembra un romanzo. Dal suo ritrovamento la Vera Croce è al centro di vicende avventurose e ha dato vita a tesori d’arte e di architettura

​Rispetto alla nascita del culto della Vera Croce, la leggenda del suo ritrovamento è più tarda e si lega al viaggio di Elena a Gerusalemme. Il primo a parlare del suo ritrovamento, nell’ambito di una grande campagna di scavo condotta sotto la direzione dell’imperatrice cristiana, fu il vescovo di Milano Ambrogio, alla fine del IV secolo. Lo fece in uno strano contesto, nell’ambito di un elogio funebre, pronunciato in morte dell’imperatore Teodosio – che aveva fatto del cristianesimo la religione di Stato – probabilmente per insistere sulla necessità di un successore cristiano – e non pagano – al trono d’Occidente.
Ambrogio attesta che l’imperatrice Elena avrebbe rinvenuto sul Golgota tre croci: quella di Gesù e quelle dei due malfattori giustiziati con lui. Per provarne l’autenticità, vi avrebbe fatto adagiare il corpo di uomo appena deceduto. A contatto con una delle tre, l’uomo sarebbe miracolosamente resuscitato e da allora il patibolo miracoloso sarebbe stato per sempre denominato “Vera Croce” per distinguerlo dagli altri due.
Lo scrittore bizantino Sozomeno (V secolo), che voleva giustificare la presenza di parte della reliquia a Costantinopoli, inserì un’aggiunta significativa alla leggenda di Ambrogio: Elena, dopo il ritrovamento, avrebbe diviso la reliquia in due parti, inviandone una metà al figlio Costantino, che risiedeva sul Bosforo.
Nella versione romana della leggenda, assai più tarda, Elena avrebbe diviso la reliquia non in due, ma in tre parti: una sarebbe rimasta a Gerusalemme, una sarebbe stata inviata a Costantinopoli, mentre la terza, insieme al titulus crucis, sarebbe stata portata da Elena stessa a Roma e deposta nella sua residenza imperiale, il Sessorium. La storia dello scavo gerosolimitano di Elena era stata però, nel complesso, poco recepita, come dimostrano le sintetiche e rare menzioni fattene dai pellegrini nei loro itinerari di viaggio: «Là puoi vedere la croce che ha scavato Elena». Il vero successo del culto si ebbe solo dopo l’inserzione delle sue storie all’interno del grande best seller d’età medievale, la Legenda aurea di Iacopo da Varazze, il frate domenicano che volle raccogliere in un grande libro tutte le storie dei santi e delle reliquie presenti nel calendario liturgico.

di Chiara Mercuri

 

Cercatori della reliquia

Dal suo ritrovamento la Vera Croce è al centro di vicende
avventurose e ha dato vita a tesori d’arte e di architettura 

Ogni reliquia è un monumento, una vestigia, un segnacolo della storia, ma a differenza degli altri reperti storici, essa possiede una virtus, un potere, una sorta di influsso benefico, di forza positiva, di scudo protettivo che le deriva dall’essere appartenuta a un giusto. Nel Medioevo, e ancora oggi, si crede che la vicinanza con il corpo di un giusto sia auspicabile e salvifica. Da ciò deriva, come naturale corollario, che mai nessuna reliquia fu ritenuta più potente della Croce, di quel legno che era entrato in contatto col più giusto dei giusti. Il culto della Vera Croce prese avvio a Gerusalemme già nei primissimi secoli del cristianesimo. Esso è ben attestato già a partire dall’anno 350, quando i pellegrini erano soliti ripartire dalla Palestina con piccolissimi frammenti del suo legno, la cui esistenza veniva additata come prova della storicità della Passione di Cristo. L’origine del culto deve anche essere posta in relazione alle grandi opere di edilizia religiosa intraprese dall’imperatore Costantino nella Città Santa. Non è un caso se la festa dell’Inventio Crucis – del ritrovamento della Croce – fu fissata al 3 di maggio, giorno della dedicazione delle basiliche costruite attorno al Calvario. In Palestina, la Vera Croce rimase per secoli al centro delle celebrazioni liturgiche della Pasqua i cui riti, presieduti dal patriarca, si svolgevano nella cappella situata nei pressi del Golgota, dove la reliquia era custodita. Il Venerdì Santo, estratta dal reliquiario, veniva posta sull’altare all’adorazione dei fedeli, sotto la sorveglianza dei guardiani, i quali dovevano impedire che si ripetesse ciò che era accaduto in passato: che qualcuno la mordesse per conservarne un piccolo frammento.
La fama giunse fino in Persia e spinse il re Cosroe I, dopo aver invaso l’Anatolia e la Siria, a conquistare, nel 614, Gerusalemme per impossessarsi della reliquia, portata poi a Ctesifonte, come dono per la regina nestoriana Meryem. La riscossa dei bizantini assunse nella propaganda cristiana il tono e il senso di una vera e propria crociata per la liberazione della Croce di Cristo, e l’imperatore bizantino Eraclio, che riuscì a recuperarla, assurse al rango dei grandi eroi della cristianità e dei solenni re veterotestamentari. Tra canti e processioni, la reliquia rientrò a Gerusalemme nel 629, portata a braccia da Eraclio, celebrato dall’iconografia medievale con cicli di affreschi tra i più belli della storia dell’arte occidentale: dalle scene a tratti fiabesche dipinte da Agnolo Gaddi nella chiesa di Santa Croce a Firenze, all’insuperabile capolavoro di Piero della Francesca realizzato per la chiesa francescana di Arezzo.

di Chiara Mercuri