Il graffito sacro di Andrea Mastrovito
L’artista è intervenuto sui muri della cripta del santuario della Madonna della Guardia a Tortona: «Nel grande sisma della storia prendersi cura è tutto ciò che possiamo fare»
Alessandro Beltrami
C’è un terremoto, intimo e fisico, dentro il grande intervento di Andrea Mastrovito nella cripta del santuario della Madonna della Guardia a Tortona, uno dei luoghi centrali della storia e della memoria di san Luigi Orione. Una città rasa al suolo da un sisma è lo scenario entro cui si muovono le figure ritratte nelle otto nicchie dell’abside, ma non bisogna farsi ingannare dal realismo dell’artista bergamasco: qui si fondono luoghi, tempi, storie; i personaggi escono dalla cronaca per entrare nel grande racconto, il simbolo non oscura la realtà. Soprattutto, sono figure ottenute scavando la pelle dell’edificio con bisturi e scalpello, solo qualche millimetro di intonaco o fino a trovare il mattone. Il livello del dettaglio, tecnico ed espressivo, è ricchissimo grazie all’integrazione di graffito, disegno, incisione, stiacciato… Non c’è elemento grafico che non sia metafora. Non c’è segno, non c’è supporto che non sia corpo.
La cripta è un ambiente ampio e luminoso, una vera e propria chiesa sotterranea che nel tempo ha svolto più funzioni, tra cui quella di prima sepoltura di don Orione. Nel 2017 è stata eretta a sede della nuova parrocchia di San Bernardino e si è resa necessaria una risistemazione. I padri orionini hanno chiesto a Mastrovito un intervento che oltre alla decorazione ha compreso i poli liturgici. L’artista si è ispirato ai terremoti italiani di inizio Novecento, in particolare Messina nel 1908 e Avezzano nel 1915, dove don Orione è intervenuto in prima persona, per estendersi a quelli succedutisi nel tempo fino ai disastri più recenti, dalle guerre in corso in Ucraina e in Medio Oriente al sisma in Turchia nel 2023, anno di realizzazione dell’opera. È il grande sisma della storia. L’intuizione di tecnica e soggetto arriva nel momento in cui Mastrovito entra nella cripta: «Ho sperimentato questa tecnica per la prima volta nel 2009 e l’ho utilizzata solo sette, otto volte. Si può fare solo se c’è lo spazio giusto e una storia da raccontare, perché è una sorta di archeologia dell’anima. Quando ho visto questi spazi intonacati, ho pensato al mattone retrostante e all’idea del terremoto. Spacchiamo come spacca il terremoto, mi sono detto: però distruggendo creiamo». Ogni immagine è frutto del montaggio di fonti diverse – fotografie d’epoca e di cronaca, illustrazioni, abiti del passato e contemporanei, volti storici, ritratti di viventi... – e di creazione autonoma. In questo scenario assistiamo a persone, laiche e religiose, che portano soccorso materiale e consolazione. E Mt 25,40 (“Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”) è il titolo dell’opera. «Sono tutte scene di salvazione, e quindi di salvezza – spiega Mastrovito –. L’idea di ridare vita a ciò che non è più vivo o che è in bilico tra vita e morte è centrale nella mia ricerca». Questo stare in bilico è interno al corpo stesso dell’opera: «Il mattone è il corpo degli uomini, è la maceria, è ombra ed è luce. In questo andare e venire c’è il segreto del disegno».
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