Il genio di Antonio Canova per il bello
Lo scultore seppe fondere lo splendore dell’idea con il calore della carne
di Antonio Paolucci
Nel 1802 papa Pio VII Chiaramonti nomina Antonio Canova Soprintendente Generale del patrimonio archeologico e artistico dello Stato Vaticano e direttore dei Musei.
Lo fa ancorando l’iperbole laudativa a una comparazione storica che proclama – potremmo dire ex cathedra – l’equivalenza fra lo scultore di Possagno e il “divino” Raffaello. «La Santità di N.S. ha dichiarato che volendo contestarle la sua speciale ammirazione, non ha saputo manifestaglierla che seguendo le tracce medesime di Leone X verso l’incomparabile Raffaello d’Urbino, collocandola nel più sublime grado di tutti gli artisti». Così papa Chiaramonti e non si poteva dire meglio. La deliberazione di Pio VII è il consapevole calco del celebre “breve” del 1515 con il quale Leone X nominava Raffaello Soprintendente alle Antichità di Roma. Come papa Medici aveva riconosciuto, con un atto ufficiale, il primato di Raffaello così, tre secoli dopo, brillando alto nel cielo d’Europa l’astro di Napoleone, papa Chiaramonti tributava ad Antonio Canova un analogo omaggio di eccezionalità e di eccellenza. La fortuna dello scultore è ultimamente cresciuta e ai tempi nostri si è rafforzata. Non è servita ad offuscarla la memorabile stroncatura di Roberto Longhi che, nel 1946, nel Viatico di cinque secoli di pittura veneziana giudicava Canova un artista «nato morto il cui cuore è ai Frari, la cui mano è all’Accademia e il resto non so dove». Nonostante questo, per uno di quei moti pendolari non infrequenti nella critica, il nostro secolo ha visto il recupero impetuoso, smagliante dell’immagine di Antonio Canova. Oggi egli è tornato a essere, dopo Michelangelo, lo scultore più ammirato e apprezzato a livello internazionale. L’ultima mostra napoletana a lui dedicata ne è la felice conferma. Oggi la nostra opinione su di lui non è diversa da quella espressa, due secoli fa, da papa Chiaramonti.
Ma in cosa consiste, oggi, il fascino di Canova? Il “miracolo” di Antonio Canova sta nell’essersi egli saputo mantenere in mirabile equilibrio, allo spartiacque di due secoli, fra “idea” e “natura”, fra il classicismo di Winckelmann e la nascente sensibilità romantica di Foscolo, di Byron, di Keats. Da una parte i modelli, dall’altra i sentimenti (l’amore, gli affetti, la malinconia, la mestizia) che inteneriscono i modelli e li rendono nuovi e moderni. Questo, in sintesi, nei tempi drammatici e calamitosi che videro la fine dell’Antico Regime, la Rivoluzione, l’Impero, la Restaurazione, fu il sogno artistico di Antonio Canova, il suo carisma e il suo destino. La sua idea di un’arte accarezzata dai sentimenti e intiepidita dalla vita, affascinò l’Europa divisa dalla politica, dalle ideologie e dalle guerre e ancora, dopo due secoli, ci rasserena e ci scalda il cuore