Il fascino della battaglia
Scontri campali e duelli cruenti sono da sempre soggetto dell’arte, sia per ragioni celebrative sia perché la guerra si presta a composizioni di innegabile bellezza
Elena Pontiggia
Il tema della battaglia è uno tra i più antichi in pittura. La violenza, del resto, ha accompagnato l’uomo fin dai tempi di Caino e sarebbe strano che l’arte non se ne fosse accorta. Tante sono state le interpretazioni del soggetto, secondo il variare delle circostanze storiche e il diverso pensiero degli autori: si va dal sostanziale realismo delle rappresentazioni greco-romane (lontanissime però da certa truculenza contemporanea) alla dimensione più metafisica del primo Rinascimento; dalle spettacolari scene di gruppo dei “battaglisti”, come venivano chiamati i pittori di argomento bellico, che si diffondono nel Sei-Settecento, fino all’esaltazione dell’eroismo individuale, cara al romanticismo. E nel Novecento? Nel secolo breve, che è stato il più sanguinoso della storia, gli artisti hanno dipinto non solo la guerra, ma anche le battaglie simboliche e psicologiche. De Chirico, per esempio, ha raffigurato i combattimenti dei gladiatori antichi in una stanza, quasi a indicare che le guerre più temibili sono quelle che non si scatenano all’esterno ma all’interno, nel cuore dell’uomo. Vediamo però qualche esempio di quanto stiamo dicendo.
Una delle rappresentazioni belliche più famose dell’antichità è La battaglia di Isso, un mosaico di età ellenistica, ritrovato a Pompei nella prima metà dell’Ottocento e ora conservato al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Nella monumentale composizione, ispirata alla battaglia del 333 a.C. fra Alessandro il Macedone e i persiani di Dario III, l’artista contrappone sapientemente pieno e vuoto. All’affollamento di soldati e cavalli, che si gettano nella mischia nella zona inferiore del mosaico, fa da contrappunto il cielo bianco e livido della zona superiore, occupato solo dalle lunghe diagonali delle lance: un motivo quasi astratto, ma gli artisti hanno sempre avvertito, senza aspettare Kandinskij, il valore espressivo della geometria. All’estrema sinistra vediamo Alessandro Magno, con il gigantesco occhio spalancato (Picasso guarderà lungamente a opere come questa). In sella al cavallo Bucefalo, il condottiero macedone porta sulla corazza l’immagine apotropaica della medusa e intanto trafigge da parte a parte Dario Oxyathres, fratello di Dario III. Quest’ultimo, in piedi sul carro, sovrasta l’intera composizione, ma in realtà assiste impotente alla morte del fratello e alla sconfitta, mentre il suo cocchiere frusta violentemente i cavalli in un estremo tentativo di fuga.
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