Il deserto e la Bibbia, dove parla la voce del silenzio sottile
Il deserto è l’habitat naturale della Bibbia: luogo della storia e della rivelazione divina
Gianfranco Ravasi
«Dio ha creato le terre con i laghi e i fiumi perché l’uomo possa viverci. Ha, però, creato anche il deserto perché l’uomo possa ritrovare la propria anima». È la voce di un popolo che nel deserto ha il suo habitat. Un tempo erano famosi come predoni, ora sono carovanieri che vagano negli spazi sconfinati e assolati del Sahara coi loro cammelli e i loro prodotti di artigianato in cuoio o metallo. Sono i tuaregh, cultori di una sapienza popolare affidata al bagliore dei proverbi, come quello da noi citato. Certo, nelle distese sterminate dell’area in cui essi vivono come nomadi, i laghi e i fiumi sono quasi un miraggio. Ma talora ecco misteriosamente sbocciare un’oasi verdeggiante o aprirsi un pozzo ricco d’acqua. È con questi doni della natura che il tuaregh può vivere fisicamente dissetandosi. Ma poi, per ore e ore, è il grembo del deserto ad accoglierlo, un luogo che sembra parlare solo di morte. In realtà, come insegna l’aforisma, è in quel silenzio infinito che l’uomo ritrova la sua anima, cioè se stesso. Lasciamo, ancora, alla sapienza tuaregh la parola con un altro proverbio: «Se una madre ha nel ventre un figlio, è come una tenda quando soffia il ghibli, è come un’oasi per un assetato».
Il nostro breve percorso, però, si orienta ora verso un deserto che è, sì, anche reale ma che ha molteplici risonanze simboliche: è quello che si allarga in molte pagine bibliche. Certo, nelle Sacre Scritture la terra arida è innanzitutto una realtà spaziale e geografica: c’è, ad esempio, il deserto del Sinai, dominato da un sole incandescente e da rocce plasmate dal vento; c’è il deserto stepposo di Giuda, nel cui cuore si levano città evocative come Gerusalemme, Betlemme, Gerico, Hebron, Bersabea; c’è il deserto arabico, da cui provenivano le carovane con merci esotiche, evocate anche nei testi sacri.
Denominato con termini differenti – prevalente è l’ebraico midbar (vocabolo che curiosamente ha alla base la radice dbr, la stessa di dabar, «parola») e il greco éremos – il deserto diventa, però, spesso un simbolo spirituale.
Così, durante la famosa vicenda esodica Israele vive nel deserto sinaitico non solo una fase storica intermedia tra la liberazione dall’oppressione faraonica e l’ingresso nella terra promessa, ma anche un’esperienza umana e religiosa. È, infatti, da un lato, il tempo della tentazione che spinge il popolo non solo a scegliere un idolo da adorare, come il vitello d’oro (Esodo 32), ma anche a dubitare del Signore, a ribellarsi a lui e alla sua guida, Mosè, e a ritornare con nostalgia al passato egiziano. In questa luce, quasi in controcanto, è esemplare il soggiorno che Gesù compie nel deserto alle soglie della sua missione pubblica, vincendo la tentazione satanica (Matteo 4,1-11). Agli occhi degli evangelisti egli è l’Israele fedele che si affida alla parola di Dio, senza cadere nella “mormorazione”, termine col quale nella Bibbia si designa l’incredulità del popolo ebraico nel deserto (Esodo 16, 2). [...]